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Anna Haze: la cantautrice fiorentina in Canada sulle orme di David Lynch

Anna Haze è un’artista a 360 gradi che si divide tra arte, cinema e fotografia. Quando ha imbracciato una Squier Jazzmaster rosa ha trovato il coraggio di dare voce a canzoni che da tempo giacevano dentro la sua anima creativa. “Starlet” è il primo singolo del disco di debutto “Sharp Teeth”

Anna Haze è un’artista che sfugge alle definizioni, ma ama darsene una: “local Laura Palmer”, in omaggio alla sua venerazione per il regista David Lynch, ma anche una dichiarazione d’intenti: un’immagine sospesa tra sogno e incubo, realtà e finzione.

Fiorentina di nascita, attualmente in Canada per lavoro, il suo percorso artistico si muove tra fotografia, pittura digitale e musica. Ed è proprio con la musica che oggi si presenta al pubblico, con Starlet, il suo brano di debutto, primo singolo del disco che si intitolerà “Sharp Teeth”.

Le atmosfere eteree del pezzo evocano i mondi sonori di Angelo Badalamenti, Lana Del Rey, Portishead e David Bowie. Ma più che un semplice singolo, Starlet è il primo tassello di un concept album in arrivo, un’opera che esplora il confine tra desiderio e illusione.

Partita dal cinema e dalla fotografia, ha provato a tenere la musica lontana, come qualcosa di troppo importante per essere affrontato. Ma alla fine, con una Squier Jazzmaster rosa e anni di testi accumulati, ha deciso di abbracciare anche questa parte di sé. Oggi ci racconta il suo viaggio, tra ispirazioni, estetica e il bisogno di creare mondi in cui perdersi.

Ecco la nostra intervista a Anna Haze

Ciao Anna come sei finita in Canada?

Sono venuta in Canada per la prima volta nel 2019, in quello che era un viaggio di piacere ma in realtà stavo già consapevolmente esplorando l’università perché volevo continuare qui i miei studi dopo il Dams. Mi ero laureata con una tesi principalmente sulla storia della musica, dal concetto di arte totale wagneriano fino all’opera rock. Però in quel momento ero particolarmente concentrata sul cinema e stavo appunto cercando un’università che mi permettesse di continuare gli studi nell’ambito film-production, regia, script wiriting. Quando venni a Montreal per la prima volta non solo ebbi modo di fare un piccolo open day in questa università in cui poi mi sono laureata la Concordia, che aveva un programma molto interessante. Però mi aveva colpito soprattutto la città dal punto di vista estetico, sono sempre stata ossessionata dal paesaggi nord-americani. Forse per qualche vita precedente mi sento a casa guardando i quadri di Edward Hopper. Mi piace anche la mentalità delle persone che è molto più aperta, c’era soprattutto prima del Covid un clima molto più rilassato che in Italia. Mi ero sentita molto più capita dal punto di vista umano, rispetto a Firenze. Quando ho fatto l’applicazione per l’università sono stata presa subito, anche se poi c’è stato un delay di un paio di anni a causa del lockdown.

David Lynch non si è mai definito un regista, lui è  prima di tutto un artista. L’ambito in cui ha avuto più successo è stato quello cinematografico ma poteva essere uno dei tanti in cui ha sempre lavorato in modo eccellente. A ispirarmi di lui è soprattutto il suo modus operandi totalizzante nei confronti dell’arte

Come e perché hai iniziato a fare musica?

Ho iniziato a scrivere canzoni a 11 anni, solo che non erano realmente canzoni quanto poesie in quel poco di inglese che sapevo. Ero fissata con Avril Lavigne, i Green Day e imitavo loro. Non avevo reali conoscenze musicali, non scrivevo musica, erano note vocali con abbozzi di melodie sul Nokia dell’epoca e testi in un inglese opinabile. Dopo di che per contingenze personali e familiari sono stata portata a pensare che la musica, il punk, l’arte e tutto ciò che amavo non fosse per me. Ho sempre cercato di corteggiare la musica lavorandoci intorno. Facevo quadri ispirati alle mie canzoni preferite, poi iniziai con la fotografia e feci una serie fotografica sulle canzoni, foto alle band, video musicali. Alla fine tutto mi riportava alla musica. Il mio grande rimpianto è di non essermi ribellata con forza a quello che mi sembravano essere i miei limiti e di essermi messa a studiare musica seriamente. Invece è una cosa che ho iniziato a fare proprio nel momento in cui mi sono trasferita in Canada. E’ stato uno sblocco mentale molto forte, ho comprato una chitarra e ho iniziato a provare a scrivere musica senza conoscere la musica. Questo è l’unico modo in cui imparo a fare le cose, iniziando a farle un po’ allo sbaraglio. Diciamo che ho iniziato a credere di poter fare musica relativamente di recente, da un paio di anni sto imparando da autodidatta e sto facendo un corso di canto vero e proprio.

So che sei una grande fan di David Lynch, lui ti ha influenzata più visivamente o musicalmente?

David Lynch mi ha influenzata a 360 gradi, per me il suo modo di fare arte mi consola e riafferma una cosa che ho sempre sperato dentro di me ma che mi è sempre stato detto che era impossibile. Ossia mischiare tecniche, essere musicista e pittore tutto contemporaneamente e avere una coerenza stilista e poetica all’interno di questo eclettismo. David Lynch non si è mai definito un regista, lui è  prima di tutto un artista, nasce come pittore. Negli ultimi anni ha fatto molta più musica che film. L’ambito artistico in cui ha avuto più successo è stato quello cinematografico ma poteva essere uno dei tanti in cui ha sempre lavorato in modo eccellente. A ispirarmi di David Lynch è soprattutto il suo modus operandi totalizzante nei confronti dell’arte, la sua ‘incontinenza creativa’. Ma sicuramente è iniziato tutto dai suoi film, in particolare vedendo Inland Empire all’università per un esame. Mi è sembrata la cosa più geniale, disruptive che avessi mai visto, proprio perché ti costringe a rinunciare a tutto ciò che credi debba essere un film. Lo guardi come un concerto, come un quadro in  movimento semplicemente godendoti l’esperienza. Questo dimostra come i generi quasi non esistano all’interno della sua arte. L’opera che ho più a cuore però è sicuramente Twin Peaks, le prime due stagioni ma soprattutto l’ultima The Return, 25 anni dopo, è stata una delle esperienze artistiche più intense della mia vita, un lungo film di 18 ore. La sua morte per me è stato una grave colpo. Lo considero un ‘genitore’ a livello artistico, ho sempre vissuto con l’illusione che un giorno avrei potuto dirgli quanto è stato importante per me. Ho anche scritto una canzone per lui, piccolo spoiler.

In “Starlet” canti che sei “legata alle stelle” che cosa intendi?

Si riferisce a una sorta di illusion of grandeur, perché io mi sono sempre sentita non destinata ma chiamata da quel mondo fatto di musica, cinema, arte, rock stars, Hollywood. Come se avessi un canto delle sirene costante nelle orecchie, un desiderio fortissimo, la convinzione di appartenere a quel mondo, anche se le mie scelte sono state contraddittorie. In Starlet parlo della disperazione di sentirsi, nell’epoca sbagliata, nel posto sbagliato, nella situazione sbagliata. Io appartengo a tutt’altro, non a questo. So che posso sembrare arrogante, ma credo che l’arte sia fatta anche per dire cose che non sono accettabili da dire. Starlet è l’apertura dell’album e l’inno di chi si sente destinato a qualcosa di più grande ma costretto e incatenato alla mediocrità e al fallimento. Non solo dal punto di vista del successo e della fama, ma anche dal punto di vista romantico. Sognare amori epici, ma vedere come poi la vita si mette in mezzo con sgambetti che riportano a una dimensione di quotidianità e mediocrità non all’altezza dei sogni.

Quando uscirà il disco? Potremo venire s sentirti in concerto in Italia?

Il disco spero uscirà il prima possibile. Si chiama “Sharp Teeth” ho già scritto 14 brani, ma vanno registrati e prodotti. Ancora non ho una band o un’etichetta, è tutto ‘home made’. Lavoro nel mio monolocale, dove registro tutto da sola e mi faccio aiutare da amici musicisti a mixare. Però purtroppo i tempi sono molto dilatati. Nei prossimi mesi usciranno altri cinque singoli, penso che il disco uscirà nel 2026. Ma lo scheletro dell’album esiste già tutto nella mia testa. Tornerò in Italia verso la fine dell’anno, intorno a Natale e mi piacerebbe molto trovare il modo di esibirmi. Spero a dicembre-gennaio di poter cantare dal vivo in Italia. Ci tengo a dire che la musica non è il mio unico interesse, dipingo ancora, scrivo ancora, faccio foto, sono tutte cose che amo molto e che fanno parte del mio percorso e del mio universo.

Anna Haze
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