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Alle Murate di Firenze la mostra “Nuova Generazione”: sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari

Fino al 25 gennaio 2025 in mostra le opere di quattro giovani fotografi che a partire dallo studio dello straordinario giacimento fotografico Alinari hanno sviluppato un progetto inedito

Nuova Generazione_Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari_Un’immagine di allestimento del lavoro di Leonardo Magrelli

Apre a Firenze, negli spazi del MAD Murate Art District, la mostra “Nuova Generazione. Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari” curata da Giangavino Pazzola e Monica Poggi, con opere di Matteo de Mayda, Leonardo Magrelli, Giovanna Petrocchi e Silvia Rosi.

La mostra è frutto di un progetto di committenza e produzione promosso da CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia e Fondazione Alinari per la Fotografia, per arricchire gli Archivi Alinari di opere inedite realizzate da giovani artiste e artisti.

Nuova Generazione segna un momento importante nella giovane storia della Fondazione Alinari, che per la prima volta partecipa a un progetto di committenza.

L’iniziativa sottolinea la vitalità di questo archivio nato a Firenze nell’Ottocento, ma ancora capace di evolvere e generare nuovi significati attraverso il dialogo con i linguaggi contemporanei e la preziosa collaborazione con CAMERA e MAD, due istituzioni di riferimento per la ricerca fotografica e la produzione artistica.

A partire dallo studio dello straordinario giacimento fotografico Alinari, ognuno degli autori ha sviluppato un progetto inedito in grado di far dialogare passato e presente, impiegando un approccio multidisciplinare.

“Il grande valore dell’archivio Alinari si arricchisce e in questa occasione diventa anche committente per nuove opere” ha detto l’assessore alla cultura del Comune di Firenze Giovanni Bettarini. “Un evento che mette in rapporto storia e attualità della fotografia, che sta passando indenne molte delle rivoluzioni del digitale mantenendo la sua identità. Questo consente di fare operazioni come questa che uniscono e mantengono insieme la storia e l’attualità della fotografia con artisti di grande livello. Ringrazio MAD che ancora una volta si conferma fucina di innovazione e contaminazione contemporanea”.

“Con grande piacere MAD e Fondazione MUS.E accolgono e promuovono la mostra curata da CAMERA che, analogamente alle priorità della nostra mission, produce nuove opere dei talenti più accreditati e sperimentali della fotografia in Italia, invitandoli a confrontarsi con il patrimonio di eccellenza della fotografia italiana, raccolto ed archiviato dalla Fondazione Alinari – dice Valentina Gensini, direttrice artistica di MAD Murate Art District -. Arte contemporanea e Patrimonio convivono così nel segno della passione per l’archivio, fonte infinita di ispirazione, di codici risignificanti, di un immaginario alchemico e tassonomico che ha appassionato molta arte del Novecento. I fotografi abitano gli ambienti di MAD con installazioni coraggiose e coinvolgenti, interpretando l’Archivio fotografico secondo personali intuizioni e suggerimenti; in mostra, video-interviste ci restituiscono il loro sforzo e tradiscono un processo creativo capace di rivivificare collezioni storiche e allo stesso tempo di generare opere contemporanee”

Un’immagine di allestimento del lavoro di Matteo Mayda

I quattro progetti in mostra

I quattro progetti in mostra esplorano un ampio spettro di riflessioni legate al tema dell’archivio: rapporto tra verità e finzione, natura del documento, decolonizzazione e decostruzione degli immaginari e della conoscenza.

Dopo aver visionato le 223.940 fotografie digitalizzate e presenti sul portale di Fondazione Alinari, Leonardo Magrelli ha selezionato una rosa di immagini che testimoniano, dal suo punto di vista, l’eterogeneità della raccolta. Riflettendo sui meccanismi di catalogazione, nel suo progetto 57 giorni di immagini, Magrelli decontestualizza e reinquadra questi materiali per far loro assumere nuovi e differenti significati. I tagli particolarmente ravvicinati rendono ancora più complessa l’interpretazione, portando a un distanziamento fra le immagini e i riferimenti culturali e storici di cui esse erano portatrici. Lo stesso meccanismo è stato applicato anche alle didascalie, che l’artista allontana dai rispettivi scatti, al fine di suscitare nello spettatore il senso di sospensione e di incompiutezza che lo porterà ad attivarsi per dare una propria lettura a ciò che vede.

Riprendendo un recente lavoro di ricerca, Silvia Rosi riflette, nel suo progetto Protektorat, sulla forza delle immagini e delle parole nella costruzione della verità storica. Attenta alla fallibilità della traduzione dei documenti d’archivio, così come all’urgenza di ricostruire una memoria famigliare a seguito della diaspora africana, Rosi esplora i materiali raccolti nell’Archivio Nazionale di Lomé, in Togo. Cosa differenzia la storia dei coloni da quella dei colonizzati? I suoi caratteristici autoritratti ambientati, così come le scenografie che ricostruisce a partire da questa indagine, riflettono su un’identità negata dalla storia ufficiale. La messa in scena di una partita di Ludo, (gioco da tavola di origine indiana ma importato in Africa Occidentale dai soldati britannici), la Bibbia, così come gli elementi decorativi presi dai tessuti a stampa Wax, sono simboli di dominazione, erroneamente attribuiti alla cultura del luogo ma realmente importati in quelle aree geografiche dai coloni. Controstorie che, dunque, ridanno memoria a racconti dimenticati, evidenziando una riflessione sulla subalternità.

Nella sua pratica artistica, Giovanna Petrocchi riusa materiali prelevati da archivi accessibili online per mezzo della tecnica del collage digitale. In questa occasione, partendo da fotografie appartenenti al fondo Giuseppe Wulz presenti negli Archivi Alinari, Petrocchi scansiona delle insolite carte de visite per dare vita a un’ironica e divertita schedatura in divenire di un inedito paesaggio fantastico. Tradizionalmente, questo tipo di fotografie riproducono ritratti in piccolo formato molto diffusi a fine Ottocento per far circolare immagini di famiglia ma, nel caso più unico che raro di Wulz, immortalano esclusivamente interni di un palazzo triestino. Colpita da tale anomalia, Petrocchi decide di far abitare questo mondo a insospettabili personaggi di fantasia. Per il suo progetto Archivio di G., seleziona dunque parti di queste fotografie e, facendole incontrare con altri materiali provenienti da archivi d’arte accessibili sul web – come quello del British Museum di Londra o del Metropolitan Museum di New York, nonché con le fotomicrografie di insetti del fondo Giorgio Roster sempre appartenente alla Collezione Alinari -, dà vita a una classificazione immaginaria di Flora e Fauna, Uomo, Macchinari e Scrittura che riflette sul potenziale estetico, atemporale e non neutrale degli archivi.

Matteo de Mayda, invece, lavora in collaborazione con enti di ricerca ambientale per esplorare la dimensione di trasformazione della laguna di Venezia, in particolare delle sue ‘barene’ (terreni di forma tabulare tipici delle lagune). Le ‘barene’ costituiscono uno degli ambienti più caratteristici e allo stesso tempo più fragili dell’ecosistema veneziano svolgendo funzioni fondamentali per l’equilibrio lagunare. Venezia, fra le mete predilette dei gran tour dei secoli scorsi e del turismo di massa di oggi, è uno dei soggetti maggiormente presenti negli Archivi Alinari. De Mayda, nel suo progetto Una barena intera, esce però dalle traiettorie turistiche per raccontare la fragilità di un ecosistema dove coesistono diverse specie di uccelli, la cui sopravvivenza è messa a rischio dall’azione umana. Mixando la tecnica della fotogrammetria con immagini storiche di varie specie che abitano le barene, il dialogo fra passato e presente ci obbliga inevitabilmente a una riflessione sul futuro delle terre che abitiamo.

Nuova Generazione_Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari_Un’immagine di allestimento del lavoro di Silvia Rosi

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