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Peppe Voltarelli, un calabrese a New York: “Il mio dialetto è tribale e internazionale”

Giovedì 7 novembre al Brillante Nuovo Teatro Lippi di Firenze in concerto il cantautore calabrese già leader de Il parto delle nuvole pesanti che presenterà il suo nuovo progetto musicale “La grande corsa verso Lupionòpolis”

Peppe Voltarelli - © Francesca Magnani

Giovedì 7 novembre arriva in concerto al Brillante Nuovo Teatro Lippi di Firenze Peppe Voltarelli che presenterà il suo ultimo disco “La grande corsa verso Lupionòpolis”, il nuovo progetto composto da inediti ad otto anni dalla pubblicazione del fortunato Voltarelli canta Profazio e due anni dopo Planetario, entrambi premiati con la Targa Tenco.

A Firenze il cantautore calabrese presenterà la sua nuova raccolta di canzoni registrata a New York da Marc Urselli (tre Grammy Award e collaborazioni con Nick Cave e Lou Reed) nello storico EastSide Sound di Manhattan e prodotta artisticamente e arrangiata dal pianista Simone Giuliani. In tutto dieci nuove tracce di cui otto canzoni in dialetto calabrese, una in italiano e un valzer strumentale.

Peppe Voltarelli è un cantante calabrese, autore di canzoni, attore e scrittore. Attivo dal 1990 come fondatore, voce e leader de Il parto delle nuvole pesanti, band di culto del nuovo folk italiano.

Da solista ha pubblicato sette album in studio, quattro colonne sonore e due concerti. Voltarelli è stato anche protagonista e coautore del film “La vera leggenda di Tony Vilar” di Giuseppe Gagliardi, primo mokumentary sul cantante italiano emigrato in Argentina.

Ecco la nostra intervista a Peppe Voltarelli

Ciao Peppe! Solo te potevi andare a New York a registrare un disco cantato in calabrese…

Beh sì, questo è sempre stato un mio desiderio. New York è una città in cui ho suonato un sacco, ho avuto un’esperienza molto bella cinematografica con “La leggenda di Tony Vilar”. È una città che mi ha sempre ispirato e ha segnato delle tappe importanti della mia carriera, come la separazione dal gruppo e il desiderio di spingersi verso nuovi orizzonti musicali. Quindi è nata l’idea di collaborare con musicisti di New York e di mettere la mia musica e la mia scrittura nella possibilità di mescolarsi con altri suoni e altri approcci diversi dal mio. Ho affidato l’arrangiamento e la produzione artistica a un caro amico che vive in America da più di 25 anni, Simone Giuliani che è un pianista fiorentino che ha messo in piedi una vera e propria band. Il secondo punto è stato registrare tutti insieme, ci siamo chiusi in uno studio per dieci giorni e abbiamo registrato con un approccio abbastanza sporco, live.

Il dialetto nella sua essenza è molto musicale, già di per sé molto tribale e internazionale, nonostante sia una lingua che non è scritta

Quando hai scritto queste canzoni? Sei sempre in tour, immagino che saranno nate “on the road”

Queste canzoni sono il frutto di una riflessione degli ultimi anni. Dopo i miei due ultimi lavori che erano due dischi tributo a cantautori del passato (Voltarelli canta Profazio e Planetario), due esperienze che hanno coperto un arco di otto anni, ho sentito il bisogno di confrontarmi con un’idea di scrittura sul crinale tra la musica italiana e la musica straniera. Volevo rendere la mia musica il più possibile internazionale, può suonare pretenzioso, ma era questo il mio desiderio, volevo far diventare il dialetto una cosa universale. Poi è più un fatto concettuale che reale perché sappiamo benissimo che i dialetti sono lingue marginali, periferiche rispetto alle grandi arterie linguistiche. Ma suonando molto all’estero ti rendi conto che la differenza tra l’italiano e il dialetto è assolutamente insignificante per molta gente. Il dialetto nella sua essenza è molto musicale, già di per sé molto tribale e internazionale, nonostante sia una lingua che non è scritta. Quando ho cantato in giro per il mondo, nessuno mi ha mai chiesto in che lingua stessi cantando, dal Canada all’Argentina.

Bob Dylan da anni fa concerti in cui ormai non si capisce più niente di quello che sta cantando ma nessuno gli dice nulla

La lingua è un “affare personale” che condividi con le persone che ti vogliono bene, che ti seguono. La mia traiettoria musicale è di nicchia, per un pubblico abbastanza scelto. Io nell’essere un artista di nicchia trovo una mia identità, che è anche molto libera come approccio, posso fare un disco a New York, ma anche a Firenze senza problemi.

cerco di porre meno barriere possibili con il pubblico. Piuttosto che proporre un live pirotecnico e stupefacente, preferisco “confessarmi”

Nelle nicchie ci si sta bene

Sì, quando te le scegli. Quando riesci ad acquistare la consapevolezza che il tuo discorso vuole andare in quella direzione. Sarebbe ipocrita affermare che un artista non cerca di aumentare il suo pubblico e i numeri, però c’è un discorso oggettivo: i grandi flussi musicali e comunicativi vanno in una direzione io vado in un’altra. Ma finchè ci saranno persone che vogliono condividere il mio viaggio io sono felice. 

Quando sei sul palco sei sempre divertentissimo, ho sempre riso molto ai tuoi concerti. A Firenze ci racconterai qualche aneddoto o storia del tuo viaggio newyorkese?

Questo aspetto negli ultimi anni è diventato sempre più importante, primo perché alleggerisce e sposta l’orizzonte discorsivo in maniera ironica. Dall’altro perché per me rappresenta una specie di sfogo, di flusso di coscienza, dal palcoscenico con la parola e il pensiero cerco di porre meno barriere possibili con il pubblico. Spesso racconto cose che sono legate al momento, che sono successe poco prima di salire sul palco, quasi come una cronistoria. Mi fa entrare in una dinamica da esploratore. Piuttosto che proporre un live pirotecnico e stupefacente, preferisco “confessarmi” col pubblico. È come un patto, a volte mi capita di raccontare cose anche molto intime, speciali, è bello. Il pubblico lo capisce che è una cosa che sta accadendo in quel momento e che è una cosa “vera”.

Raccontaci una cosa assurda che ti è successa durante tutti questi anni di concerti in giro per il mondo, facci questo regalo

In questi ultimi 15 anni sono successe delle cose incredibili, cose pazzesche. (Ride) Ho molti ricordi legati agli italiani all’estero. Una notte a Dublino fummo letteralmente rapiti da un signore italiano che ci portò in giro per tutta la città fino alle 4 di mattina, senza mollarci un attimo, raccontandoci tutta la sua vita. Quando ci riaccompagnò in albergo, tirò fuori dal cofano della macchina una fisarmonica e mi chiese di suonargli “Romagna mia”. Così alle 4 di notte, in mezzo alla strada, nella nebbia, sembra una scena quasi religiosa.

Come in un film di Kusturica…

Lui mi mise la fisarmonica addosso e io suonai Romagna Mia senza battere ciglio, fu una cosa molto bella, molto romantica che fa capire quanto le canzoni siano importanti per le persone. 

Peppe Voltarelli

Ingresso 12/10 € ridotto Under 25 e Soci Arci
Info: www.boxol.it – 055240397 – info@eventimusicpool.it
Biglietti: boxol.it

Informazioni sull’evento:

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