Sin dalla sua invenzione la fotografia è stata un’arte in evoluzione, capace di catturare la realtà ma anche di mostrare il punto di vista dell’artista sul mondo: ogni nuova tecnologia ne ha ampliato le possibilità creative ma ha anche sollevato nuove domande su cosa significhi “fotografare” e oggi la capacità di generare immagini attraverso l’intelligenza artificiale (AI) ha portato alla ribalta nuovi quesiti sul rapporto tra arte, etica e diritto d’autore
Dall’invenzione del dagherrotipo ai Fratelli Alinari
La fotografia nasce ufficialmente nel 1839, quando il pittore francese Louis Daguerre presenta al mondo la sua invenzione: il dagherrotipo, una tecnica per “dipingere con la luce”, come viene definita sui quotidiani francesi dell’epoca, messa a punto a partire da un’idea di Joseph Niépce, considerato l’autore della prima fotografia in assoluto. Il dagherrotipo era una lastra di rame ricoperta di argento e trattata con vapori di iodio, che la rendevano così fotosensibile: esponendo la lastra alla lcue per circa dieci minbuti era possibile così catturare l’immagine sulla lastra. Le prime immagini realizzate erano soprattutto nature morte, paesaggi o ritratti molto formali, che a causa dei lunghi tempi di posa lasciavano poco spazio alla creatività.
In Italia i primi a sperimentare con un macchinario basato sui progetti di Daguerre furono Enrico Jest con il figlio Alessandro Jest e Antonio Rasetti a Torino nel 1839, riuscendo a scattare alcune vedute della città.
Tra i pionieri ci sono anche i Fratelli Alinari a Firenze, che segneranno la storia italiana della fotografia. Nel 1852 Leopoldo Alinari, che si è appassionato all’arte fotografica grazie al calcografo Giuseppe Bardi, apre un piccolo laboratorio in via Cornina, a cui si uniscono due anni dopo, nel 1854, i due fratelli Romualdo e Giuseppe.
Gli Alinari iniziarono a fotografare monumenti, opere d’arte e paesaggi con un approccio sistematico e metodico, creando un archivio fotografico che divenne presto punto di riferimento internazionale e contribuendo a tracciare il ritratto della Firenze e dell’Italia di fine Ottocento. La fotografia all’epoca aveva una doppia anima: era uno strumento per documentare la realtà con precisione scientifica ma iniziava a rivelare il suo potenziale estetico e creativo. Gli scatti degli Alinari, tecnicamente ineccepibili e accurati, mostravano giù una sensibilità artistica che andava oltre la semplice riproduzione del soggetto.
Nel 1863 trasferirono il loro laboratorio al numero 8 di via Nazionale, rinominato nel 1987 in loro onore Largo Alinari, e qui aprirono anche la loro Sala di Posa, per la ritrattistica. Due anni prima era morto giovanissimo, ad appena 33 anni, Leopoldo: il suo posto venne presto dal figlio Vittorio che poi nel 1890, dopo la morte degli zii, rimase a guidare i Fratelli Alinari, che da piccola attività di famiglia era ormai una realtà famosa in tutta Europa, con tante filiali aperte nelle più importanti città, da Roma a Parigi.
Dalla Leica alla rivoluzione digitale
Con l’arrivo del XX secolo, la fotografia si distaccò dal ruolo puramente documentaristico per andare verso un‘estetica più personale e anche sperimentale, rappresentata da artisti come il surrealista Man Ray.
Nel primo dopoguerra l’introduzione della pellicola flessibile portà alla nascita delle prime fotocamere portatili come la famosa Leica (da Leitz camera) che da metà degli anni Venti in poi cambiò radicalmente il modo in cui le persone potevano scattare foto. La fotografia infatti, liberata dai lunghi tempi di posa e dalle attrezzature ingombranti del passato, divenne un’attività dinamica e spontanea.
Fotografi come Henri Cartier-Bresson, con il suo concetto di “istante decisivo”, rivoluzionarono il reportage, immortalando la spontaneità della vita quotidiana, e si sviluppò anche il fotogiornalismo, con autori come Robert Capa e Dorothea Lange che documentavano i grandi eventi storici, dalla guerra civile spagnola alla Grande Depressione negli Stati Uniti fino ai conflitti mondiali.
Con l’arrivo del digitale, la fotografia subisce un’altra trasformazione radicale. Le fotocamere digitali, la prima delle quali fu la Sony Mavica del 1981, permisero di scattare immagini senza preoccuparsi dei costi della pellicola o dei limiti di esposizione, aprendo la strada a una vera e propria democratizzazione dell’arte fotografica, un processo ulteriormente accentuato dall’avvento degli smartphone con telecamera incorportata e possibilità di condividere le proprie immagini sui social network.
Le immagini generate con l’AI
Oggi migliaia di immagine sono caricate online ogni secondo e la fotografia è diventata una pratica quotidiana, quasi banale. Inoltre con i software di post-produzione come Photoshop la manipolazione delle immagini è diventata una pratica alla portata di tutti e ha alterato il rapporto di verità, che prima veniva dato per scontato, tra l’immagine che vediamo e quello che rappresenta.
Un problema che è sempre più attuale con la diffusione di programmi di IA generativa, come MidJourney o DALL-E, con cui si possono generare immagini nuove a partire da un “prompt”, ovvero una descrizione testuale. Questi sistemi utilizzano enormi database di immagini e tecniche di machine learning per creare immagini che possono variare da fotorealistiche a completamente surreali.
Questa nuova frontiera sta sollevando problemi etici, artistici ed economici non banali, su cui è in corso un dibattito a livello internazionale. Alcuni critici vedono in questa evoluzione una minaccia per la fotografia e l’arte tradizionale in generale, mentre altri la considerano un’estensione naturale dell’arte visiva, capace di esplorare nuovi orizzonti creativi.