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Il futuro della moda (e del pianeta) è sostenibile e passa anche dalla tradizione dei “cenciaioli” pratesi

Il concetto di sostenibilità è diventato centrale per il mondo del fashion. Tra le prime azioni che i brand hanno adottato c’è il riutilizzo delle materie prime, una tradizione che a Prato risale al XII secolo. Il nostro viaggio alla scoperta dei trend sostenibili del mondo del fashion

Tessuti generici

Negli ultimi anni il concetto di sostenibilità è diventato centrale per il mondo del fashion. Con una crescente consapevolezza ambientale e sociale, i consumatori e i marchi stanno riconsiderando il loro approccio al consumo e alla produzione di abbigliamento. Non si tratta semplicemente di accogliere la transizione verde in corso e accettare i nuovi paradigmi di mercato, basare la produzione su una filiera sostenibile, in linea con gli standard fissati dall’Europa in tema di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale, è oggi fondamentale per garantire la sopravvivenza stessa del made in Italy e fare in modo che possa continuare ad essere baluardo di eccellenza e autenticità nel mondo . Adottare una filiera di produzione etica e responsabile e utilizzare materie prime sostenibili è anche un modo per prendere le distanze dal fast fashion, la moda veloce, a bassi costi e di “dubbia” qualità.

Oltre a tutto ciò, i brand hanno anche l’esigenza di adeguarsi alle nuove richieste della clientela , soprattutto della clientela giovane sempre più attenta all’impatto che ciò che indossa ha sul pianeta.

A Prato l’economia è circolare grazie ai moderni ” cenciaioli”

Tra le prime azioni per convertire il settore della moda, notoriamente tra i più inquinanti al mondo, c’è sicuramente l’utilizzo di tessuti riciclati per dare vita a nuove collezioni e produzioni .  A Prato, città tessile per eccellenza, lo fanno da sempre. Basta fare una semplice ricerca online per imbattersi in aziende tessili e industriali che hanno fatto dell’economia circolare il proprio core business rigenerando gli stracci, ovvero i materiali che un tempo recuperavano i “cenciaioli”, e che oggi vengono lavorati e trasformati in lana o in altri e nuovi filati riciclati e tessuti di alta qualità destinati all’alta moda.

I “cenciaioli”, così sono chiamati colori che lavoravano “i cenci” ovvero gli stracci, hanno fatto la fortuna di Prato nel secondo dopoguerra. Tutti potevano fare i cenciaioli. Era un lavoro ben pagato che non conosceva crisi (all’epoca). Si andava nei magazzini che erano pieni di tessuti, abiti o scampoli di abiti, spesso ammucchiati e da quei mucchi mani nude che piano piano erano diventate abili a riconoscere i tessuti che valeva la pena recuperare e quali no, strappavano i “cenci”, gli stracci appunto, separandoli per colore e consistenza. Quei nuovi cumoli di cenci, una volta rilavorati, diventavano nuovi tessuti.

L’esempio di Rifò

Rifò, azienda tessile nata nel 2017, ha deciso di recuperare questa vecchia tradizione pratese e di rinvigorire il concetto di economia circolare che i pratesi praticavano già nel XII secolo senza esserne consapevoli . Il progetto Rifò nasce da un’idea di Niccolò Cipriani e da una raccolta fondi. Oggi questa idea dà lavoro al territorio, i prodotti Rifò sono venduti online e in più di 300 negozi in Italia e all’estero e ha sviluppato progetti di sostenibilità e responsabilità sociale offrendo percorsi formativo per cenciaioli, filatori e nuovi artigiani, a persone provenienti dalle attività di accoglienza e per migranti che vivono sul territorio.

Rifò ha recentemente avviato una collaborazione anche con l’istituto Modartech di Pontedera che dà sempre coniuga sostenibilità e innovazione. Insieme hanno presentato la collezione “Elements of Nature” di Giada Rinaldi, rivolta a bambini e adulti, basata su cashmere e denim rigenerati, con incluso un kit per personalizzare i capi in totale sicurezza e rispetto per l’ambiente.

Nella città del tessile comunque non c’è solo Rifò, ormai sono la maggior parte le realtà che si sono convertite e hanno riportato in auge il vecchio mestiere del cenciaiolo (a cui nel 2022  Tommaso Santi  e Silvia Gambi hanno anche dedicato un documentario) e la filiera sostenibile della moda a partire dal recupero dei tessuti non più utilizzati.

Non solo abiti, anche gli accessori sono sostenibili

Moda sostenibile però non significa solo abiti. Anche il settore dei gioielli e dei metalli ha ormai sposato la rivoluzione green. Spostandoci da Prato più verso Firenze, nella zona industriale di Campi Bisenzio, Fondazione Leaf  si occupa di certificare i cicli di produzione della filiera dei metalli. “Le imprese svolgono un ruolo chiave nella creazione di un’economia circolare e di una società sostenibile ed equa”, ha dichiarato Luca Cartocci presidente di Fondazione Leaf entrando nel merito della questione e anche delle problematiche che talvolta rendono complicato per un’azienda adottare un ciclo di vita del prodotto interamente e veramente sostenibile. “Non si può negare – ha detto – che tutto ciò abbia un costo economico non indifferente. Senza contare che la crescente complessità e la natura globale delle catene di approvvigionamento rendono difficile per le aziende stesse ottenere informazioni affidabili sulle operazioni dei fornitori. Ció – ha specificato – rischia di generare l’effetto opposto dell’intento iniziale, addirittura dando origine a fenomeni di greenwashing (comunicazioni di sostenibilità non chiare e corrette sui prodotti, a volte rilasciate dalle aziende inconsapevolmente per mancanza di regole oggettive e universali, ndr). Per questo lo standard di Leaf ha come obiettivo quello di mettere a disposizione anche delle aziende degli accessori di lusso criteri chiari e misurabili”.

Lo standard sviluppato da Fondazione Leaf, Leaf Hardware, è frutto di un lavoro interno durato due anni, basato sul monitoraggio di aziende europee e asiatiche per risponde ad una specifica richiesta proveniente dal settore e colmare un vuoto esistente. Non esisteva infatti alcuno standard di sostenibilità specifico per gli accessori metallici (ne esistono invece per quanto riguarda gli abiti e i tessuti). Quella introdotta nel mercato da Luca Cartocci è la prima esperienza nazionale e internazionale di questo tipo. Ed è nata in Italia, in Toscana

Il Cardato riciclato garanzia di sostenibilità

Quelli fin qui citati sono solo alcuni esempi di aziende che hanno trasformato i processi produttivi per ridurre l’impatto ecologico delle loro operazioni a partire dal riuso delle materie prime. Non ho menzionato il cardato riciclato ma sempre a Prato esiste una vera e propria filiera certificata.

Per fregiarsi del marchio “Cardato Recycled” i tessuti e i filati devono essere prodotti all’interno del distretto pratese; realizzati con almeno il 65% di materiale riciclato (abiti o scarti di lavorazione tessile), aver misurato l’impatto ambientale dell’intero ciclo di produzione tenendo conto dell’impatto del consumo di acqua, di energia e di CO2.

La vera spinta per una produzione davvero sostenibile arriva e arriverà anche in futuro dalle richieste del mercato. La crescente richiesta da parte dei consumatori di prodotti sostenibili è infatti destinata a spingere sempre più brand a ripensare i propri metodi produttivi e a guidare questa rivoluzione saranno soprattutto le esigenze della Gen Z alle quale il made Italy non può che adattarsi .

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