Venerdì 27 settembre arriva in concerto al Teatro Puccini di Firenze, all’interno della rassegna Fabbrica Europa, il musicista, compositore e polistrumentista brasiliano Rodrigo Amarante.
In molti lo conoscono per “Tuyo”, il brano scritto per la sigla della serie tv Narcos che gli ha fatto guadagnare una nomination agli Emmy e lo ha reso noto in tutto il mondo.
Amarante ha dichiarato di aver composto il brano pensando al tipo di musica che avrebbe potuto ascoltare la madre di Pablo Escobar mentre cresceva il figlio, futuro re del narcotraffico.
Rodrigo Amarante è anche noto per aver dato vita, insieme a Fabrizio Moretti degli Strokes e a Binki Shapiro, alla band Little Joy, per aver registrato e suonato negli ultimi quattro album di Devendra Banhart e per aver fondato la band Los Hermanos e il supergruppo samba Orquestra Imperial.
Ha registrato, arrangiato e scritto musica con i nomi più importanti della musica brasiliana, da Gilberto Gil a Marisa Monte, ed è stato inserito da Rolling Stone tra i 100 migliori musicisti brasiliani di sempre.
Nel 2014 ha pubblicato il suo primo album da solista Cavalo, una delle prime uscite con l’etichetta Easy Sounds Recording Company. L’album ha riscosso successo in tutto il mondo, e Rodrigo ha suonato in oltre trenta diversi paesi nel mondo. Inoltre è stato chiamato in vari spettacoli, come Live Session Deezer, NPR Musica, e a radio KEXP con Vincent Moon.
“Cavalo è stato il mio primo disco da solista, quello con il mio nome stampato su e con il mio sound. – ha raccontato Rodrigo Amarante a DLSO – Per questi motivi presenta un tema che non posso e, credo non dovrei, evitare: è l’autoritratto di un alter ego, è una sfaccettatura figlia del guardare un qualcuno, dell’invenzione di ciò che si definisce sé stessi. In questo modo si crea un doppio, si arriva ad avere due personaggi. Uno che guarda a sé stesso e l’altro che fa finta che il primo non esista ma che cerca in tutti i modi di trovarlo. Ero lontano da casa, estromesso dalla mia giungla tropicale e messo lì, in una vasta città desertica, mentre imparavo la loro lingua e sulla mia pelle sentivo la vastità del West, le sue distanze, i suoi silenzi, la sua secchezza e il suo freddo. L’America e il suo impressionante isolamento. Il disco parla da questa terra, a volte parla di questa stessa terra, e sicuramente è stato influenzato da questo luogo, ma è come se gli avesse dato le spalle per ammirare all’orizzonte la terra da dove vengo (non il Brasile in quanto cultura ma la mia storia al suo interno) e il cammino che impone questa maestosa distanza.”