Per descrivere Gian Piero Fava prendo a prestito gli elementi dell’architettura dell’eterna Roma e il paesaggio toscano, l’equilibrio rinascimentale dei palazzi fiorentini, il fascino senza tempo dei borghi dove la lancetta dell’orologio sembra essersi cristallizzata in un fermo immagine ideale.
La sua cucina? Fatta di un radicamento alle origini sa guardare alla contemporaneità senza strafare
Lo chef mi raggiunge al telefono in una mattina d’estate. Iniziamo a parlare della sua cucina. Ed è lì che pian piano, gli elementi identitari della sua filosofia di mestiere escono fuori, uno dopo l’altro. Ci confrontiamo per una mezz’ora ed ecco che si delinea una personalità rigorosa e semplice come le antiche colonne dei monumenti della capitale, un radicamento alle origini che sa guardare alla contemporaneità senza strafare, l’armonia discreta dell’essenziale che a volte però si ricorda come serva un tocco improvviso di follia per dar vita al genio in cucina. Ed è lì che l’anima di un elegante barocco a volte si fa strada, per tenere bene a mente che nella vita e in un piatto l’artificio dello stupore può divenire realtà concreta e sfavillante sorpresa quando meno te l’aspetti.
E’ una cucina educata quella dello chef Fava e anche questo stupisce in un’epoca dove l’eccesso è di moda. Basta aprire i social per vedere improbabili cuochi da milioni di follower sbattere con forza polpi, cipolle, prezzemolo e chissà cos’altro sul piano di lavoro, frullando qualsiasi cosa, saltando penne e spaghetti rigorosamente cremosi, il tutto accompagnato da suoni e rumori fasulli presi dalla libreria di editing di qualche programma di montaggio video. La comunicazione ha sovrastato tutto, l’immagine predomina potente e se un piatto alla fine è buono o no poco conta, l’importante è che sia instagrammabile. In fondo quei coltelli velocizzati per tagliare la verdura hanno ucciso la concretezza della cucina in nome della vanità dei like.
Non è così (per fortuna) per Gian Piero Fava, uno dei cuochi veterani di Antonella Clerici a “E’ sempre mezzogiorno”. In studio si muove con la sicurezza che avrebbe in cucina con la sua brigata di “Casina di Macchia Madama” sulla cima di Monte Mario. Ma l’idea è di mettere davanti alla sua immagine televisiva il valore delle materie prime di qualità, dei territori che ne sono espressione vivace e di quel cibo che prima di tutto rappresenta vitale nutrimento per le persone.
Nel frullatore della cucina mediatica l’ego è una gran brutta bestia e Gian Piero Fava invece è uno che mette davanti a tutto il rispetto
La maturità di uno chef si vede anche da questo. Nel frullatore della cucina mediatica l’ego è una gran brutta bestia e Gian Piero Fava invece è uno che mette davanti a tutto il rispetto: delle persone, dei prodotti, della cultura gastronomica.
E’ quella maturità fatta di esperienze all’estero e in Italia: in fondo sono gli incontri ad arricchire il bagaglio umano e culturale di un professionista. Ed a proposito di incontri quello con Antonella Clerici, racconta Gian Piero Fava, è stato speciale.“Mi ha insegnato la leggerezza, ammette”. Perché quando si è solidi dentro, quando il mestiere in mano ce l’hai ecco che la leggerezza diventa solo un valore da condividere.
In tv Gian Piero Fava ha portato anche il suo amore per la Toscana, la terra che l’ha ospitato quando ha lavorato per qualche tempo a Borgo San Felice.
Proprio da Antonella Clerici lo chef ha celebrato l’essenza del Chianti e della Toscana fondendoli con la sua Roma. Il piatto, realizzato con suo figlio Tommaso, racconta l’incontro tra due splendide regioni che mantengono salda la loro cucina identitaria. Ed è così che i ravioli al cavolo nero, pecorino toscano Dop e riduzione di Chianti, accompagnati da guanciale croccante diventano ponti di cultura gastronomica.
“Torno in Toscana almeno una volta al mese. Devo ammettere che ho capito il vero valore del Chianti forse troppo tardi, è un posto meraviglioso sia lavorativamente parlando che per la qualità della vita”.
Quando gli chiedo però cosa cucina quando vuole regalarsi un momento solo per sé Gian Piero Fava tira fuori dal cappello del mago le ricette della tradizione italiana.
“Di solito mi preparo un risotto alla milanese con tanto parmigiano, una pasta alla bolognese con il peperoncino ma mi piace molto anche uno spaghetto al pomodoro con basilico e olio extravergine toscano. Questi sono i miei comfort food, piatti semplicissimi che quando sei giù possono rallegrarti la giornata”.
La cucina è come un’autostrada che ci fa viaggiare nel tempo e nella memoria
Ed è qui che Gian Piero Fava non si nasconde dietro ricette ruffiane o alla moda perchè ci sono dei piatti che sono senza tempo, quelli che si mettono in tavola anche a casa e che rappresentano famiglia, amici, ricordi. La cucina in fondo è come un’autostrada che ci fa viaggiare nel tempo e nella memoria. Quella cena, quell’incontro, quel piatto indimenticabile in una sera da ricordare oppure la tavola di tutti i giorni, i profumi della cucina dei nonni, quando anche veder sbuffare morbido il sugo di pomodoro sotto la fiamma diventava magia di colori e profumi.
Oggi però dietro un ristorante di qualità l’essenza di un menu è fatta di tanti elementi e i piatti ne sono l’espressione finale. “C’è la gestione delle materie prime, del personale. Un cuoco oggi deve amministrare tutte le derrate alimentari, il servizio di logistica e le persone. Devi imparare a coordinare, gestire un grande gruppo, seguire i ragazzi, conoscerli, capire le loro emozioni per motivarli. La cucina anche in questo senso ti permette di crescere tanto, a me ha insegnato moltissimo”.
Le idee più belle mi vengono di notte, con la passione poi riesco a metterle in pratica
Poi finiamo a parlare di creatività. “Devo dire che le idee più belle mi vengono di notte, con la passione poi riesco a metterle in pratica. Provo e riprovo, sono un testardo, un pignolo, riesco sempre ad arrivare all’obiettivo. Lo sanno anche i miei ragazzi: quando mi metto in testa una cosa – dovrò magari fare un percorso lungo – ma la porto a termine”.
Passione e rigore, creatività e piedi per terra, sperimentazione senza abbattere i pilastri delle radici. Gian Piero Fava guarda all’oggi senza dimenticare gli insegnamenti che arrivano dal passato, provando a costruire una filosofia di cucina autentica, concreta, rispettosa, educata. Si parla di principi in un’epoca che ne tiene pochi a mente nella vita di tutti i giorni e ne mette ancora meno dentro ad un piatto.
Mi piacerebbe tornare ai vecchi osti che non pensavano solo al guadagno ma ci mettevano anche tanto cuore
Prima di salutarci chiedo allo chef come si salvaguarda anche la cucina autentica nelle città alienate dal turismo di massa.
“Io giro per Roma e ormai ci sono tanti ristoranti ma non ci sono più le vecchie osterie di una volta. Tutto è troppo commerciale, dovremmo tornare alla semplicità e alla vera tradizione. Sarà difficile. Mi piacerebbe tornare ai vecchi osti che non pensavano solo al guadagno, ci mettevano anche tanto cuore”.
Sta dentro a quel “metterci il cuore” la visione dello chef Gian Piero Fava, la stessa che si ritrova nelle vecchie osterie della sua Roma, nelle trattorie dei minuscoli paesi toscani di cui è innamorato.
Una visione che sa rompere gli schemi quando serve, come nelle sinuose architetture barocche che provarono a reinterpretare il passato regalando una nuova bellezza alla città eterna. Il tutto guidato dal fascino della contaminazione delle esperienze, come nei paesaggi toscani dove tutto sa trovare la giusta forma in un meticoloso equilibrio tra vigne, coltivazioni, oliveti. In fondo è questa la bellezza straordinaria dell’incontro, nella vita e in cucina.