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Cosa succede al cervello in meditazione: l’Università di Pisa studia i monaci tibetani

Lo studio è unico nel suo genere perché ha monitorato esperti con all’attivo anche 20mila ore di meditazione

Meditazione

Uno studio dell’Università di Pisa pubblicato su Frontiers in Psychology ha investigato le basi neurali dell’attività di meditazione, grazie a un gruppo di volontari di eccezione: i monaci di Sera-Jey, l’Università Monastica Tibetana in Karnataka (India).

I monaci monitorati con l’elettroencefalogramma

Il team pisano ha lavorato su dati raccolti nell’arco di diversi mesi, durante i quali i monaci sono stati monitorati nelle meditazioni quotidiane tramite il rilevamento di elettroencefalogramma, attività cardiaca e respiratoria. Lo studio è l’unico nel suo genere che si fonda sull’analisi di un gruppo così omogeneo e altamente addestrato: i monaci infatti possono dedicarsi fino a otto ore al giorno alla meditazione in ritiri della durata di anni.

“Lo scopo della ricerca – spiega Bruno Neri, docente di Ingegneria elettronica all’Ateneo pisano – era quello di indagare i correlati neuronali di due diverse tipologie di meditazione, concentrativa e analitica. Nella prima si può raggiungere uno stato cognitivo di consapevolezza priva di contenuto e pensiero discorsivo; nella seconda la mente viene diretta su un oggetto di riflessione (per esempio un concetto filosofico o morale), che viene analizzato in tutte le sue sfaccettature”.

Lo studio dell’Università dei Pisa sulla meditazione sui monaci tibetani

I primi risultati, aggiunge il ricercatore Alejandro Callara, “indicano che analizzando il segnale elettroencefalografico è possibile distinguere nettamente tra i due tipi di meditazione: in particolare, abbiamo visto che la meditazione concentrativa provoca un drastico cambiamento della potenza di tale segnale nella maggior parte delle bande spettrali classiche e che il cambiamento è più evidente al crescere dell’esperienza del soggetto e di fatto abbiamo osservato questo fenomeno con certezza in quei monaci con più di 20mila ore di meditazione al loro attivo“.

La meditazione aumenta la capacità di autoconsapevolezza

Tenuto conto della letteratura scientifica sull’argomento, prosegue Callara, “sembrerebbe che con l’esperienza nella pratica cresca la capacità di attivare meccanismi dell’attenzione che permettono di sopprimere stimoli non rilevanti e distrattori, a favore della focalizzazione sull’autoconsapevolezza, che di fatto è proprio lo scopo della meditazione concentrativa: abbiamo anche osservato che lo stesso soggetto (esperto) impegnato sia nella meditazione analitica che in quella concentrativa, è in grado solo nel secondo caso di generare variazioni che possano risultare rilevanti per uno studio più approfondito sugli stati non ordinari di coscienza indotti dalla meditazione”.

La prossima missione a Sera Jey inizierà il 29 giugno prossimo. Il gruppo avrà come obiettivo quello di reclutare altri volontari esperti in alcune pratiche meditative in grado di agire alla radice del rapporto mente/corpo.

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