Da 10 maggio all’8 giugno, alla libreria L’Ornitorinco di Firenze si terrà la mostra “Split Land” con gli scatti realizzati da Michelle Davis fiorentina di origine americana.
Musicista, dj, speaker radiofonica, organizzatrice di eventi ma soprattutto fotografa di rara sensibilità, Davis anima con la sua creatività le notti e la vita culturale di Firenze.
È appassionata di tecniche fotografiche analogiche come la stenoscopia usata anche da Leonardo da Vinci e ha da poco inaugurato Camera38 la prima Camera Oscura in co-working, in via san Zanobi, 38, a Firenze.
La mostra “Split Land” è nata traendo ispirazione dalle atmosfere decadenti dei romanzi gotici sudisti, tra tutti quelli scritti da William Faulkner che ha inventato “Yoknapatawpha” (terra divisa), la fittizia contea del Mississippi dove ha ambientato molti dei suoi romanzi e racconti.
Le fotografie di Split Land evocano una geografia emozionale, prima immaginata e poi fotografata, dove si muovono figure femminili cupe, malate, libertine, fantasmi scaturiti da una visione deformata, cesura tra nuovo e vecchio mondo.
“Split Land é un progetto che ha iniziato a prendere forma nel 2021 mentre frequentavo l’ultimo anno del triennio in Fotografia e New Media presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze. – ci ha raccontato Michelle Davis – Il mio primo intento era stato di concentrarmi su fatti di vita vera, autobiografici, ma sentivo di non esser veramente pronta e di non avere abbastanza tempo per sviscerare alcuni temi che da anni sto processando attraverso la fotografia, quindi quando ho trovato, o forse mi ha trovata, il romanzo “L’urlo e il furore” di Faulkner. Mi sono rispecchiata molto nella coralità decadente dei fratelli Compson e nella complessità delle loro relazioni. Da lì è partita la mia ricerca. Dopo circa un anno di incubazione e scouting ho iniziato a fotografare… la mappatura dei luoghi è abbastanza schizofrenica ma i punti nevralgici si trovano tra i crinali della Garfagnana e le plantation house della Louisiana, tra cui Rosedown Manor a St. Francisville e la Joseph Jefferson Mansion a New Iberia.”
le figure femminili del romanzo gotico americano nella loro malattia e ribellione tendono a rivelare un lato oscuro, perverso di una cultura plasmata dagli uomini
Il tuo progetto nasce dai romanzi gotici americani, cosa ti affascina così tanto di questa particolare letteratura? Che libro potresti consigliarci?
La mia famiglia proviene dal sud degli Stati Uniti, io e le mie sorelle siamo le prime “Yankee”, essendo nate in California. Gran parte dei miei parenti si trova in Louisiana e fino a qualche tempo fa non avevo avuto alcuna esperienza diretta di questa America così diversa da quella che avevo conosciuto. La vivevo attraverso le storie che mi raccontava mio padre, storie dal sapore notturno, denso, violento, talvolta tragico. Oltre al sopracitato Faulkner, ho ritrovato queste atmosfere e mi sono sentita in qualche modo a casa nelle pagine di “Il cuore é un cacciatore solitario” di Carson McCullers, “Il cielo é dei violenti” di Flannery O’Connor e “A sangue freddo” di Truman Capote, grande classico.
Le donne protagoniste dei tuoi scatti sono quasi dei “fantasmi”, chi erano le persone che hai fotografato? Le conoscevi bene?
La grande svolta per il progetto é arrivata quando mi sono imbattuta in una raccolta di saggi sull’immaginario gotico americano intitolato “The Palgrave Handbook of the Southern Gothic” curato da Susan Castillo Street e Charles L. Crow. Nello specifico, il capitolo “Twisted sisters: the monstrous women of southern gothic” scritto dalla studiosa Kellie Donovan-Condron mi ha offerto una chiave di lettura potente: effettivamente le figure femminili del romanzo gotico americano nella loro malattia e ribellione tendono a rivelare un lato oscuro, perverso di una cultura plasmata dagli uomini. Senza bisogno di evocare i fantasmi o spiriti così cari al gotico classico, il corpo stesso della donna qui diventa un’abominevole deviazione dalla norma che nel suo esser grottesco ha il potere di distruggere intere comunità. Basti pensare a Caddy, la vera protagonista di “L’Urlo e il Furore”, che nella sua libertà sessuale e nel suo rifiuto a conformarsi viene additata come madre snaturata e portatrice di scandalo ma è al centro di un’ossessione collettiva.
Stiamo parlando di una società di stampo vittoriano imperniata fortemente sulla figura del cosiddetto “angelo del focolare” e credo che Faulkner in “Absalom! Absalom!” abbia riassunto perfettamente lo stato delle cose nel passaggio in cui fa affermare paternalisticamente al signor Compson: “Years ago we in the South made our women into ladies. Then the War came and made the ladies into ghosts. So what else can we do, being gentlemen, but listen to them being ghosts?” (”Anni fa noialtri del sud facemmo delle nostre donne altrettante dame. Poi venne la guerra e fece delle dame altrettanti spettri. E così che altro possiamo fare noi, da gentiluomini che siamo, se non ascoltare loro, da spettri che sono?”). Le protagoniste raffigurate in “Split Land” le conosco e sono molto grata a loro per essersi lasciate fotografare, come sono grata a Lilith de L’Ornitorinco che ospiterà la mia mostra nella sua splendida libreria, un’altra donna che si rifiuta di stare sullo sfondo.
Tecnicamente come hai realizzato le fotografie?
Durante la fase di ricerca mi sono chiesta come volevo rendere al meglio l’immaginario di Split Land e ho deciso di imbracciare per la prima volta una fotocamera medio formato, una Mamiya C330. Da sempre amo la fotografia di Diane Arbus e lei utilizzava questo modello di macchina per catturare il diverso, i corpi che popolano i margini della società e vivono tra luci e ombre. Mi piaceva l’idea di utilizzare un mirino a pozzetto che non ingombrasse lo sguardo e trovo che il formato quadrato abbia una natura più contenuta e forte a livello di composizione… per non parlare della sfida di dover lavorare con 12 esposizioni per rullino. Insomma, mi sono voluta complicare la vita… forse volevo vivere il momento dello scatto con quello stesso senso di urgenza, paura e trepidazione che provavo leggendo i romanzi che hanno ispirato il lavoro. Parliamo di fotografia analogica quindi per quanto riguarda la post-produzione non ci sono state grosse modifiche se non qualche accortezza in camera oscura.
Tutto il ciclo fa respirare un’atmosfera di “realismo magico”, credi che sia una caratteristica dei luoghi che hai visitato, oppure sarebbe (in teoria) possibile fotografarlo anche qua, magari in qualche campagna toscana
La tua domanda é molto azzeccata perché in realtà il progetto si basa molto su una costante dissimulazione di luoghi. Anche da questo punto di vista ho trovato grande ispirazione in Faulkner che pur mantenendo una forma di realismo tangibile ambienta i suoi romanzi nella contea fittizia di Yoknapatawpha, che si in lingua Chickasaw si traduce in “terra divisa”, da cui deriva il titolo della mostra “Split Land”. Ho sentito subito una forte connessione con il suo bestiario di identità scisse, concetto a me molto caro in quanto io stessa vivo sul costante pendolo del biculturalismo. Ho quindi pensato che invece di interpretare letteralmente l’immaginario gotico ambientando tutte le mie immagini nel territorio di appartenenza del genere potevo attivare un gioco di proiezioni, basandomi soprattutto sulla creazione di atmosfere. Poco importa dove sono state scattate. Alla fine, volevo evocare una storia.
Vernissage venerdì 10 maggio alle 19:00.
Libreria L’Ornitorinco, via di Camaldoli, 10r