Eugenio Sournia è un cantautore livornese che ha esordito nel mondo della musica con la band Siberia pubblicando con loro tre album.
Dopo un periodo di riflessione durante la pandemia ha dato vita al suo primo progetto solista che si intitolerà “Eugenio Sournia” per Carosello Records.
Il disco è prodotto da Emma Nolde, giovane e talentuosa artista toscana. La scelta di Eugenio di lavorare con Emma risale al suo desiderio di ritrovare, in lei, una sorta di innocenza perduta e un’idea di musica e di suono che arricchisca e completi le sue canzoni, che sono basate principalmente sulle parole.
Eugenio ha sempre amato scrivere fin da piccolo, e lo ha fatto inizialmente attraverso la poesia per poi passare, crescendo, alla forma canzone accorgendosi come fosse più facile farlo da dietro ad un microfono piuttosto che pubblicando raccolte.
Un talento che sente di avere nel sangue (si chiama Eugenio perché sua madre voleva un emulo di Montale) e una passione coltivata nel corso degli anni a prescindere dagli studi universitari, approfondendo autori come John Keats e Ungaretti.
Una scrittura evocativa, poetica e profonda la sua, che richiama i grandi classici della tradizione italiana e che si ritrova nei brani che andranno a comporre questo nuovo capitolo del suo percorso discografico nato dall’esigenza di raccontare il rapporto con il dolore nella musica e nell’arte.
Con questo suo primo progetto solista, Eugenio apre la strada ad un nuovo percorso discografico che proseguirà con un tour di presentazione del nuovo lavoro.
Ecco la nostra intervista a Eugenio Sournia
Ciao Eugenio! Com’è nata l’idea del tuo progetto solista?
Con i Siberia ero l’autore del 95% dei brani, il fatto di aver scritto canzoni più intime e personali mi ha imposto di scegliere questo percorso da solo. Banalmente perché queste canzoni uscivano dal classico schema basso, chitarra, batteria, ma anche perchè la traiettoria dei Siberia si era un po’ impantanata su un pop-rock che poteva anche essere legittimo ma poi è arrivata la pandemia che ha segato il tour. Doveva essere proprio il tour della consacrazione, con il quale noi avevamo la speranza di mettere un piede nella porta nel mondo del professionismo musicale. Avevamo fatto un disco più pop, che doveva essere la nostra “testa di ponte”. Con la pandemia mi sono reso conto però che la mia scrittura voleva andare in un’altra direzione, più intimista, cantautoriale, quindi mi sono sentito in dovere di prendermi la responsabilità di questa scelta e farlo a nome mio.
Quando si parla di cantautorato in Italia siamo “nani sulle spalle dei giganti” perché alle spalle abbiamo una lunga e importante tradizione con grandissimi musicisti. Chi sono i tuoi “giganti”, i tuoi punti di riferimento?
Ti faccio tre nomi, uno antico, uno medio e uno recente. Luigi Tenco è il cantautore che sento più vicino di quelli classici, poi i CCCP e Giovanni Lindo Ferretti sono quelli che a livello “rock” sento più vicini, il loro percorso legato alla politica e alla religione mi interessa molto. Poi Francesco Bianconi dei Baustelle, il suo disco solista io l’ho macinato e trovo che sia veramente una delle cose più grandi uscite in Italia negli ultimi anni.
Non hai citato nessun Livornese, la tua città ha dato vita a una tradizione importante penso a Bobo Rondelli, anche se mi sembra lontano dalla tua musica…
Avrei potuto parlarti tranquillamente anche di Piero Ciampi però l’ho scoperto da grande, avevo già 30 anni. Bobo lo conosco bene anche personalmente, lo vedo e ci chiacchiero spesso. Musicalmente arriviamo a esiti molto diversi, lui è più scanzonato, io mi prendo molto sul serio. Ma a livello di attitudine c’è sicuramente qualcosa in comune, lui è un artista totale che ha deciso di dedicare la sua vita interamente alla musica, lo trovo molto punk e molto diretto, per me è sicuramente un modello. A Livorno lo è per molti, tutti riconoscono la sua autenticità.
Ho letto che ti sei appassionato alla poesia prima che alla musica, è vero?
Io “nasco” proprio come poeta, da adolescente ho iniziato a trovare il coraggio di far leggere le mie poesie, ho vinto qualche premio a livello giovanile. Sicuramente è stata una tappa importante che mi ha dato la ‘self confidence’ necessaria per cominciare a far uscire quello che scrivevo. Poi a 16 anni mi sono innamorato del rock e da lì in poi fare le cose dietro una chitarra è diventato più facile, per me era anche una questione di “figaggine” (ride). Ricordo con più nitidezza la prima volta che ho fatto un accordo sulla chitarra elettrica rispetto alla prima volta che ho avuto un rapporto fisico con una donna. Ricordo questa sensazione di totale stupore e meraviglia.
Com’è nata la collaborazione con Emma Nolde? La conoscevi già o l’hai cercata per il disco?
Emma la conosco da quando eravamo molto giovani, lei è del 2000, i nostri primi scambi sono avvenuti nel 2016-2027 perché lei veniva spesso a Livorno a fare un open mic. La conosco da tanto, avevamo già provato a fare qualcosa insieme nel periodo più buio del Covid tra ottobre 2020 e gennaio 2021, però non era venuto fuori niente, anche se ci eravamo “annusati”. Noi abbiamo in comune il Booking che è Locusta e grazie a questi addetti ai lavori c’è stata l’occasione di reincontrarsi. Emma ha un approccio alla musica più votato al suono, mentre io sono più attento al testo e alla canzone, quindi caratteristiche molto diverse. Ma siamo persone molto simili a livello di attitudine, è venuto fuori un lavoro molto semplice e naturale, non ci sono stati colli di bottiglia.
Quando potremo venire a vederti suonare?
L’obiettivo è quello di suonare nei piccoli club a partire da gennaio 2024. Non è una stagione facilissima, dopo la pandemia i live club sono un po’ in difficoltà ma io ho l’idea di portare in giro un live con pianoforte, chitarra e violino. Riprodurre il disco così com’è in full band è difficile, ma credo che l’importante siano le canzoni, quindi per ora farò degli showcase e i live veri e propri arriveranno ad anno nuovo.