Sabato 18 novembre sul palco fiorentino dell’Ex-Fila arriva uno dei musicisti più interessanti del panorama indipendente americano: Dion Lunadon.
Nato ad Auckland, in Nuova Zelanda, e ora residente a NewYork, Dion Lunadon ha suonato con diverse band tra gli anni ’90 e 2000, in particolare con i THE D4, che hanno pubblicato due album con la leggendaria etichetta neozelandese Flying Nun Records. Dopo lo scioglimento dei TheD4 nel 2006, Lunadon si è trasferito a New York City.
Ha poi iniziato a suonare il basso per i noise rocker A Place to Bury Strangers, comparendo e scrivendo nei loro album in studio Worship (2012), Transfixiation (2015) e Pinned (2018), oltre che in diversi singoli ed EP.
Nel 2017 Lunadon ha registrato il suo primo album solista che racchiude tutto ciò che ama del rock’n’roll.
Nel 2020 ha lasciato definitivamente gli A Place To Bury Strangers e ha deciso di proseguire con la sua carriera solista.
Lo scorso giugno, via In The Red Records, il musicista ha poi pubblicato il suo secondo LP, “Beyond Everything”, e è pronto a presentarlo in Europa.
Lunadon è noto per la sua presenza scenica ad alta energia e spesso imprevedibile.
Ecco la nostra intervista
Ciao Dion, nel 2017 hai iniziato il tuo percorso da solista dopo importanti esperienze alle spalle, come mai questa decisione?
Credo che ci siano state molte cose che mi hanno spinto a farlo. Credo che dopo aver deciso di lasciare APTBS mi sia sembrata la mossa più logica.
Dopo anni in cui ho svolto il compito ingrato di agevolare i sogni e le ambizioni di qualcun altro, era giunto il momento di occuparmi dei miei.
Suonerò come se la mia vita dipendesse da questo, perché è proprio così
Cosa ci può dire degli anni passati con gli A Place To Bury Strangers?
Credo che sia il periodo più lungo in cui ho fatto parte di un gruppo musicale: 10 anni. A livello personale è iniziato alla grande ed è peggiorato progressivamente. A livello musicale il contrario. Alcuni grandi momenti. Non mi dilungo oltre.
Ho letto che durante la pandemia ha scritto un centinaio di canzoni, è vero? Non so come una personalità vulcanica come la sua abbia potuto attraversare quel periodo.
Sì, ho scritto musica per tutto il tempo e ho elaborato un piano per mettere insieme una band e far partire questo progetto. Naturalmente la pandemia è stata orribile, con malattie e morti, ma a livello personale è stato un buon momento. Ho lasciato la APTBS la settimana prima della chiusura di NYC e questo mi ha dato il tempo di rimettermi in sesto senza sentirmi così sotto pressione. Nessuno ha potuto fare nulla, quindi non mi sono sentito come se mi stessi perdendo qualcosa. Mi sono messo al lavoro per scrivere e pianificare il mio futuro.
Scrivi, arrangi e registri tutto da solo, come nascono le tue canzoni?
Sì, è così. Mi occupo anche di tutta la parte artistica, dei video e così via. Questo progetto in particolare non è molto collaborativo ed è più introspettivo. Se sono bloccato su qualcosa devo trovare una via d’uscita da solo, quindi è un buon modo per spingere i miei confini creativi. Cerco sempre di scrivere una canzone dall’inizio alla fine in una sola volta. Schiaccio il tasto “record” e lo faccio. In questo modo le cose rimangono un po’ più libere e mi vengono in mente cose che non potrei mai pianificare. Evita che sia troppo “paint by numbers”. È allora che accadono gli incidenti “felici”. L’ultima canzone del mio nuovo disco, “Room With No View”, ne è un buon esempio. Ho iniziato con un’idea di suono di chitarra e di feeling. Ho preso un ritmo di batteria e ho fatto una sola registrazione. La registrazione durava circa 20 minuti, ma l’ho ridotta a 7 e poi ci ho messo sopra il basso e la voce.
So che sul palco sei pura energia e sono molto curioso di vederti, cosa succederà a Firenze?
Suonerò come se la mia vita dipendesse da questo, perché è proprio così.