Il loro nome viene da un grosso gatto grigio “Grimoon” e la loro storia sembra un po’ una favola. Solenn Le Marchand e Alberto Stevanato hanno deciso 20 anni fa di formare una band nel unendo il loro amore per la musica e la loro creatività artistica.
Nascono così alcuni dischi incredibilmente poetici come “Vers La Lune” e soprattutto i loro bellissimi video realizzati con la tecnica dello stop-motion.
Poi nel 2015 assistono impotenti alla tragedia delle morti nel mare Mediterraneo, a colpirli è in particolare la storia di Alan Kurdi il bambino morto affogato sulla costa turca.
Dopo anni di ricerca nasce così “Clair Obscur” il loro sesto album tra rock, psichedelia e elettronica, che vede la collaborazione di musicisti del calibro di Enrico Gabrielli, Andrea Faccioli (Cabeki), Erik Ursich (Vacca Stracca), un disco che racconta il dramma contemporaneo della migrazione attraverso gli occhi di un bambino.
Accompagnano il disco anche gli immancabili video malinconici e sognanti che raccontano il viaggio di Alan, bambino che intraprende un lungo percorso con il padre a bordo di una nave/conchiglia, attraversando i mari e incontrando diversi personaggi.
I Grimoon saranno in concerto venerdì 17 novembre al Circolo Arci Il Progresso di Firenze.
Ecco la nostra intervista a Solenn Le Marchand
Ciao Solenn ho letto che quando avete iniziato questa avventura te e Alberto nel 2004, all’inizio era un gioco, mi sembra molto bello anche perché penso che l’arte debba nascere proprio così senza limiti, senza pressioni
Sì, è andata proprio così, era una cosa molto spensierata, avevamo anche più tempo rispetto ad adesso. Io ero neolaureata in cinema, Alberto era musicista e c’era la voglia di sperimentare. Tecnicamente non eravamo particolarmente bravi (ride) però avevamo tanta voglia e tante idee, soprattutto c’era nei nostri primi lavori un grande senso poetico e una certa leggerezza nel raccontare che era molto affascinante. Era tutto molto bricolage, costruito in maniera molto naïf. Aveva tutto un suo equilibrio e una sua logica.
L’incrocio degli sguardi con i bambini immigrati ci ha spinto a raccontarli, a raccontare le loro storie
Questa dimensione “giocosa” la ritroviamo nei bellissimi video che realizzate ancora oggi in stop-motion. La cosa che mi colpisce è che avete deciso di usare la vostra creatività per raccontare una storia molto triste quella di Alan Kurdi, il bambino siriano che purtroppo è morto durante un naufragio davanti alla costa turca, è come un cortocircuito
È voluto perché noi volevamo restituire una storia che è una storia di bambini, volevamo raccontare questo dramma usando un linguaggio dell’infanzia, del cinema di animazione. La nostra storia, il nostro spettacolo/film è pensato per essere visto anche dai bambini, pur essendo molto triste. Noi volevamo ottenere questo. È vero per gli adulti è un cortocircuito, è una tragedia ma noi volevamo dare anche un messaggio di speranza.
Ho letto che tu e Alberto fate anche laboratori per immigrati quindi il vostro impegno è a 360 gradi, non solo nella musica…
Noi abbiamo uno spazio artistico e creativo a Mestre, Anim’arte, una piccola associazione in cui realizziamo laboratori per bambini e ragazzi adulti. In questo spazio accogliamo persone di varie provenienze. È capitato diverse volte di ospitare bambini rifugiati, che arrivano dalle migrazioni, inseriti con progetti speciali dai servizi sociali, oppure è capitato di fare dei laboratori ad hoc per rifugiati adulti. Ci è capitato nel mezzo del covid di ospitare bambini che non riuscivano a integrarsi, sono stati con noi e abbiamo fatto un bellissimo percorso. L’incrocio degli sguardi con i bambini immigrati ci ha spinto a raccontarli, a raccontare le loro storie, ci sono tantissimi minori stranieri non accompagnati. Per esempio un ragazzo pakistano ci ha raccontato il suo viaggio a piedi dal Pakistan, camminando per sei mesi. Ci colpivano i loro occhi mentre ci raccontavano queste storie, dovevamo condividerli, raccontarli, al di là dei numeri.
Passando a parlare del disco, “Clair Obscur” ha tanti ospiti al suo interno, Enrico Gabrielli, Cabeki, come sono nate queste collaborazioni?
Le collaborazioni sono frutto di vent’anni di esperienza, abbiamo collaborato sempre con tanti musicisti. Ogni volta che facciamo un disco per noi è un lavoro enorme perché sono tutti concept album, quindi c’è un’enorme ricerca tematica e stilistica, le canzoni devono andare di pari passo con i video quindi c’è un tempo di elaborazione lunghissimo. Abbiamo, come sempre, chiamato a raccolta gli amici, quello che abbiamo cercato era di dare sonorità nuove perché andavamo ad allargare gli orizzonti musicali rispetto al nostro disco precedente che era più elettronico. Avevamo bisogno di una cosa più ritmica e per le chitarre abbiamo coinvolto Cabeki che è un musicista eccezionale che ha dato nuove sfumature. Hanno suonato anche due immigrati che siamo riusciti a coinvolgere.
Da Vers la lune sono passati sette anni e sono cambiate tante cose per voi
Sì, tante cose intorno a noi e dentro di noi. Era il 2015 quando è uscito Vers la lune, lo stesso anno in cui è morto Alan Kurdi quell’anno siamo anche diventati genitori e questa cosa ci ha colpiti enormemente. Abbiamo visto quell’immagine terribile, mentre io avevo un neonato in braccio, un altro cortocircuito appunto. Da lì abbiamo deciso di raccontare questa storia. Poi è arrivato un altro bambino, il covid, quindi è passato tanto tempo. Inoltre per realizzare il nuovo disco io sono andata a fare ricerca, ho provato a documentarmi e non è facile perché è molto difficile reperire informazioni. Per esempio il bambino che è affogato aveva la pagella nella tasca della giacca, è una storia che hanno raccontato i medici che hanno trovato il cadavere. Ci sono pochissime informazioni è veramente difficile ricostruire le storie di questi bambini. Nel nostro film abbiamo inserito un’altra storia, quella della bambina che è morta di sete su un barcone, sembra una cosa assurda, è una storia del 2019, abbiamo voluto metterla perché è una cosa che noi non possiamo accettare.
Mi viene da dire che adesso forse è ancora peggio, con quello che vediamo accadere oggi in Palestina
Siamo sempre lì, l’unica cosa che abbiamo pensato che potevamo fare, oltre a documentare le storie, per chi moriva in mare è sostenere chi li salva. Così abbiamo deciso di instaurare una collaborazione con l’ONG Mediterranea. Non si lascia la gente morire in mare, poi dopo si può ragionare su come fare accoglienza.