Il profumo è la prima cosa che sentiamo di un vino quando avviciniamo la bocca a un calice. Si potrebbe quasi dire che senza il suo profumo un vino non sarebbe neanche bevibile.
Dall’Università di Firenze e in particolare dal DAGRI (il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali) arriva una nuova invenzione. Si chiama “Aromy” ed è un dispositivo che promette di essere rivoluzionano.
È infatti in grado di catturare i composti organici volatili che si perdono durante la fermentazione alcolica e restituire aromi floreali e fruttati al vino che altrimenti ne avrebbe una minore concentrazione.
Un recupero che può rappresentare un elemento molto vantaggioso per il produttore enologico.
“Come suggerisce il nome, si tratta di uno strumento in grado di accrescere le caratteristiche aromatiche del vino” spiega Alessandro Parenti, docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali e inventore del dispositivo insieme a Lorenzo Guerrini (allora assegnista di ricerca Unifi).
“Tuttavia – prosegue – l’importanza di Aromy non si limita al recupero delle sostanze che si separano dal mosto durante la fermentazione alcolica a causa di un effetto di stripping dovuto alla CO2 emessa dai lieviti. Il dispositivo, proprio bloccando tali molecole, permette l’interazione tra queste e dunque la creazione di nuovi composti profumati e fruttati (gli esteri), che poi ricadono sotto forma di condensa nel mosto”.
Com’è nata l’idea per la realizzazione di Aromy?
L’idea di Aromy è nata quando Alessandro Parenti era impegnato nell’implementazione di un sensore che monitorasse l’anidride carbonica in uscita durante la fermentazione.
“I sensori che progettavo si sporcavano e smettevano di funzionare dopo poco tempo. Per scoprire quale fosse il problema decisi di inserire un piccolo condensatore grazie al quale notai che dalla vasca uscivano sostanze trasparenti. Dopo alcune prove successive ne ebbi la conferma: avevo dimostrato per la prima volta che dalla vasca in fermentazione uscivano sostanze odorose che non rimanevano nel vino ma si disperdevano nell’ambiente”.
La domanda che si è posto il ricercatore è stata: come sarebbe possibile rimettere al loro posto le molecole fuoriuscite? Da qui l’idea di realizzare un condensatore interno alla vasca cilindrica, posizionato nella parte superiore (spazio di testa del fermentino), in modo che venisse superato il problema di rimetterle dentro il vino. Il passo successivo è stato il brevetto.
La concessione per l’azienda Trecieffe e il successo commerciale
L’Università di Firenze ha successivamente firmato la concessione di utilizzo del dispositivo per l’azienda di Treviso Trecieffe, specializzata nella progettazione e realizzazione di serbatoi in acciaio destinati al settore agroalimentare.
Con l’inizio della produzione industriale Aromy ha iniziato a farsi conoscere dalle aziende: dopo la presentazione al Salone internazionale macchine per enologia e imbottigliamento (SIMEI) tenutosi a Milano, il dispositivo ha raggiunto un considerevole successo, tanto da ricevere la menzione d’onore all’Enoforum a Valencia.
Pochi mesi fa, è arrivata la richiesta di due vasche da cento ettolitri da parte di uno dei grandi marchi del vino italiano.
“I vini di Aromy sono caratterizzati maggiormente anche dal punto di vista tattile, oltre che aromatico. Presentano, in gergo enologico, una più marcata ‘grassezza’, ossia risultano più morbidi e voluminosi in bocca. Soprattutto – precisa Parenti – per la parte tattile si mostrano più “pronti” rispetto a quelli prodotti con il metodo tradizionale, come se avessero qualche mese di invecchiamento in più. Si tratta di un grande vantaggio per il produttore, che può inserire prima sul mercato il vino made in Aromy. Il target a cui punta Aromy – conclude il docente – è rappresentato da quelle cantine interessate alla produzione di un vino che si distingua sul mercato e a offrire un’eccellenza caratteristica del territorio”.