La follia, i sogni e l’amore possono salvare il mondo? L’artista partenopeo Sal Da Vinci è convinto di sì. Ne parliamo al telefono mentre mi presenta lo spettacolo “La fabbrica dei sogni” che sta portando in scena in tutta Italia. E’ appena arrivato in Toscana dopo la data di Assisi, poche ore di sonno ma nella voce c’è già l’emozione di tornare ad esibirsi a Firenze, questa volta con un proprio spettacolo, scritto a quattro mani insieme a Ciro Villano e con la supervisione artistica di Lello Arena.
“La fabbrica dei sogni” è un musical sociale, un racconto corale, uno show coinvolgente che porta a riflettere, con il sorriso. Uno spettacolo che mette al centro gli “ultimi”, le loro aspirazioni mancate che nella scatola magica del teatro tornano a risplendere di vita, guidate da un cantautore dimenticato dal mondo, in un manicomio fatiscente.
Accanto a Sal Da Vinci, in scena ci sono – oltre al figlio Francesco Da Vinci – anche lo stesso Ciro Villano e poi ancora Fatima Trotta, Daniela Cenciotti, Ettore Massa, Enzo Fischetti, Federica Celio. La direzione artistica e le coreografie sono affidate invece a Marcello e Mommo Sacchetta.
Quella che porta Sal da Vinci sul palco del Verdi di Firenze in una doppia data (18 e 19 marzo) è “una favola moderna”, come la definisce lui stesso. Un “viaggio fatto di messaggi d’amore, dove si racconta la tragedia anche attraverso la forza del sorriso”.
Cosa ha voluto raccontare al suo pubblico con questo spettacolo?
Questo spettacolo? Due ore di sana follia
Lo spettacolo pone l’amore come esigenza. Oggi se ci giriamo intorno c’è miopia e povertà di sentimenti e credo che il teatro possa far riflettere su questo. Siamo un gruppo molto unito e tutti corriamo verso lo stesso obiettivo, quello di combattere contro l’ingiustizia. Sono due ore di sana follia.
L’idea è anche quella di creare un luogo ideale -in questo caso il teatro – che protegga anche da un mondo che forse di sta svuotando di passioni, di sogni, di ideali?
Nella gente ho visto un risveglio dell’anima
L’altra sera eravamo ad Assisi ed ho visto nella gente come un risveglio dell’anima. Vedere il pubblico così partecipe e caloroso nel seguire la storia è come accendere un segnale luminoso. Si percepisce che la gente sta con te e condivide quello che stai dicendo.
Nel suo musical ha aperto le porte anche ai giovani. In campo artistico il talento dei giovani quanto viene valorizzato nel nostro paese?
I genitori hanno la responsabilità di lasciare coltivare i sogni ai propri figli
L’Italia attraverso la cultura dell’arte e la bellezza ha generato moltissimo. Siamo conosciuti nel mondo per i pittori, cantanti, poeti, scrittori, attori, scenografi e credo dunque che vada stimolato il potenziale che c’è nei nostri ragazzi. Qualche giorno fa in un incontro ho conosciuto la storia di una meravigliosa ragazza quindicenne di San Severo di Foggia che ha dovuto lasciare per due anni la scuola di recitazione perchè il padre le disse che non avrebbe guadagnato una lira. I genitori hanno la responsabilità di lasciar coltivare i sogni ai propri figli, bisogna lasciarli esprimere.
Sarebbe un bel gesto d’amore da parte di un genitore.
Credo che l’amore faccia cambiare tutto intorno a te, l’amore per qualsiasi cosa, mestiere, per qualsiasi sogno. Mai infrangerlo, mai.
Per lei cos’è “La fabbrica dei sogni”?
E’ lo spettacolo, il suo meccanismo. I folli non credono nei sogni ma vivono nei sogni. Credo che almeno 5 minuti di sana follia vadano vissuti nella vita, noi ne regaliamo al pubblico 2 ore, credo che basti e avanzi, no?
C’è qualche ricordo che la lega a Firenze?
Era il 31 dicembre del Duemila ed ero in città per esibirmi al Teatro La Pergola, nello spettacolo L’opera buffa del giovedì santo di Roberto De Simone. Ricordo l’attrice Maria Del Monte, che purtroppo non c’è più. In un palazzo iniziò a cucinare qualsiasi cosa della tradizione napoletana, poi scendemmo a festeggiare in piazza e io mi aspettavo i botti visto che vengo da una città molto rumorosa, invece c’erano solo molte persone che brindavano. Io cercavo i botti e tutti mi prendevano in giro. Siamo stati a Firenze per due settimane meravigliose e oggi sono felice e onorato di tornare in questa città magica.
Lei interpreta un capo visionario, un trascinatore, un uomo che trasforma un manicomio, un luogo vicino alla demolizione, in un teatro, il luogo della magia, forse il posto che più di ogni altro tiene insieme la bellezza della vita. Per lei il teatro, nella sua vita, al di là della professione, cosa rappresenta?
La musica mi ha salvato e il teatro è la mia seconda casa
Io ho iniziato molto presto, il mio cammino è anche un po’ anomalo. Di solito i bambini prodigio o vanno in analisi o si perdono per strada, perdono il passo. Io invece ho avuto la forza, la perseveranza e una famiglia che ha sostenuto il mio sogno. Ho iniziato nel 1976 davanti ad un pubblico importante e credo che non riuscirei a fare altro nella mia vita. La musica mi ha salvato e il teatro è la mia seconda casa. La musica che scrivo, il mio concetto espressivo lo porto in teatro e questo mi ha dato la possibilità di essere ancora qui. Ho una compagnia enorme, è da molti anni che porto avanti questi spettacoli e grazie a questo lavoro “mangiano” 50 famiglie. Per me la soddisfazione è anche questa.