Entrare nella casa di Dario Dainelli è un po’ come fare un viaggio nella sua personalità. L’attenzione al dettaglio, l’armonia, l’equilibrio e quel legame stretto con l’arte e la natura. Poi ci sono le foto di famiglia, un biliardo con uno splendido tappeto azzurro aviazione e nessun cimelio in bella vista a ricordare prima la carriera da calciatore e poi da dirigente. Nessuna vetrina di ciò che è stato, i ricordi li tiene stretti per sé al piano inferiore, in un luogo più intimo.
Lunghe vetrate portano invece lo sguardo là fuori, nella distesa di vigne di San Zio, a Cerreto Guidi, dove si trova la stessa “Cantina Dainelli” e dove vive l’ex capitano viola.
Arrivo da Ghizzano, un paesino di 300 abitanti, il legame con il vino e la terra ci sono sempre stati
San Zio è prima di tutto radici, casa, famiglia, amici, divertimento. Quello che Dainelli vuole rappresentare con il suo vino senza fronzoli, autentico e sincero. Ci sediamo, l’uno di fronte all’altra. Parliamo delle sculture del padre, poi dei quadri di Giovanni Maranghi, il pittore che ha firmato anche le etichette dei suoi vini. Una conversazione fatta anche di racconti di calcio e di serate scanzonate nelle cantine e poi di studio, conoscenza da affinare, obiettivi. Il filo conduttore di tutto sono i campi e le vigne, il rettangolo verde del calcio e poi quei filari d’uva dove Dainelli si sente a casa.
“Quello dal calcio al vino? E’ stato un passaggio graduale”, mi spiega. “Arrivo da Ghizzano, un paesino di 300 abitanti che si trova nelle colline che vanno verso Volterra, per cui il legame e la passione per il vino e la terra ci sono sempre stati. Sicuramente non sono uno di città”.
Come è partita la seconda vita di Dario Dainelli da vignaiolo?
Quando giocavo nella Fiorentina decisi di aprire un ristorantino a Peccioli insieme al mio migliore amico, Cristiano Savini. E da lì, insieme al sommelier, abbiamo iniziato a fare delle visite di degustazione per scegliere la carta dei vini. Quelle visite sono state la base per entrare in contatto con i produttori. Sai cosa mi ha entusiasmato? Quel brillare negli occhi di chi riesce a trasformare la passione in un lavoro, un qualcosa che ho riscontrato sia nel mondo del vino che in quello del calcio.
Cosa racconti di te attraverso i tuoi vini?
Spero che si senta il mare, il mare dell’Isola del Giglio
Cerco di portare passione e spero che si senta. Mi piace curare l’attenzione al particolare in vigna, in cantina, fino al “vestito” da dare ai miei vini con le etichette: voglio esprimere l’artigianalità. E poi è fondamentale trasmettere ironia, perché il vino è anche convivialità e divertimento.
La mia idea è stata da subito quella di creare una piccola cantina, che producesse poche bottiglie, volevo soprattuto essere identificativo di un territorio. Per questo ho scelto tre vitigni autoctoni per la mia produzione: il Sangiovese, emblema delle nostre zone, il Malvasia nero e poi l’Ansonica, altrettanto riconoscibile. Spero che si senta il mare, il mare dell’isola del Giglio. Lì la lavorazione è durissima e le giornate di vendemmia sono impegnative. Partiamo da qui con un camioncino frigo intorno alle cinque del mattino, si vendemmia e la vinificazione si fa la notte. Sono due giorni tosti ma fascinosi e particolari. Arrivare vicino alla vigna con l’ape, proseguire a piedi, sono momenti che ti ricordi.
Il vino è anche esperienza. Come racconti la tua filosofia di vignaiolo a Cantina Dainelli?
Ho pensato a dei brunch educativi per le famiglie nel periodo primaverile. I bambini vengono accompagnati dal contadino o dal cantiniere insieme a delle maestre per fare attività legate al vino e alle olive, oppure per conoscere le erbe. La mia azienda è attualmente in conversione biologica. Abito qui e vorrei costruire un ambiente sano per me e i miei figli.
E d’estate?
Viste le temperature più alte durante il giorno, abbiamo pensato di organizzare pic-nic chic per la cena, con un cestino prenotabile e personalizzabile direttamente da casa. Si passa poi la serata in un’atmosfera di campagna, un salotto in mezzo alle vigne.
Ti rappresenta di più il lavoro in vigna o in cantina?
Ho cercato di fare e imparare tutto, perché avevo esigenza di capire e conoscere visto che non vengo da questo mondo. Però mi rilassa di più la vigna, stare all’aria aperta, anche per il lavoro che ho fatto da calciatore.
La Sbronza, Rude, Daino in bolla, Intruso, Red. Vini che sono espressione rotonda della tua vita e che hai voluto anche raccontare con le etichette d’autore di Giovanni Maranghi.
Sono molto identificativi. “Red” ad esempio è il vino di San Zio, è il vino di qui: 100% Sangiovese ed è l’unione della mia famiglia. Rappresenta l’acronimo dei nostri nomi: Rebecca, mia moglie, Ettore, Eva e Edoardo, i miei figli e poi la D di Dario. L’artista l’ha realizzato come un re rosso, un re anche un po’ uomo e un po’ donna, espressione di tutti noi.
Per un calciatore il momento più difficile è quello in cui si appendono le scarpette al chiodo. In quei momenti le passioni diventano salvifiche?
La passione per il vino mi ha aiutato anche non ho mai vissuto il problema di smettere e non saper cosa fare. L’idea della cantina e dell’azienda agricola l’ho sempre avuta in mente anche se la settimana dopo l’addio al calcio giocato entrai subito nella dirigenza della Fiorentina.
Come hai vissuto il passaggio mentale da calciatore, che vedeva l’allenatore come guida per centrare i traguardi, a quello di imprenditore, dove le redini in mano devi tenerle tu?
Il calcio mi ha insegnato il legame con i compagni, piangi e gioisci con loro
Da calciatore la vivi più egoisticamente, cerchi di fare il meglio per te, sempre con il rispetto della squadra. Quel che mi ha insegnato il calcio è soprattutto il legame con i compagni: piangi e gioisci con loro, vivi delle emozioni che ti avvicinano. Dal punto di vista dell’azienda la gestione è ovviamente molto diversa, c’è da pensare a molte più cose contemporaneamente e dal punto di vista mentale è più complicato e difficile.
La tua vita è sempre stata legata ad una sfida, ogni partita è un obiettivo. Vale per il calcio, vale per il vino che si costruisce giorno dopo giorno. Verso quali orizzonti si sta dirigendo oggi Dario Dainelli?
Spero di trasmettere la passione per il vino ai miei figli
Dal punto di vista della neonata azienda stiamo cercando di curare al massimo la terra e siamo in fase di ristrutturazione della cantina. Abbiamo l’ambizione di creare un vino non commerciale e spero di trasmettere questa passione ai miei figli, così che portino avanti la cantina anche in futuro. A livello sportivo invece sto seguendo i ragazzi del settore giovanile dell’Empoli, dove calcisticamente sono nato. Con loro sto bene, il rapporto è bello e dà molta soddisfazione.
Un ritorno alle radici?
Certo. Proprio così. Un ritorno alle radici.