In Toscana c’è un’eccellenza nella lotta alla violenza di genere che si chiama Codice Rosa. Nato nel 2009 nella Asl di Grosseto come un percorso di accesso al pronto soccorso riservato alle donne e ai bambini vittime di abusi, si è esteso a tutta la regione ed è diventato un modello anche a livello nazionale.
Oggi Codice Rosa è una rete regionale che collega e coordina tutte le forze del servizio sanitario toscano e lavora insieme alle Procure, alle forze dell’ordine e alle associazioni.
La rete regionale partita da Grosseto
A guidarlo per altri tre anni è stata confermata la sua ideatrice Vittoria Doretti, medico specializzata in cardiologia, anestesia e rianimazione e direttrice dell’area dipartimentale Promozione ed etica della salute dell’azienda Usl Toscana Sud Est. Fu proprio lei, ormai quattordici anni fa, ad avere l’intuizione di creare un accesso previlegiato per aiutare le donne che arrivavano in ospedale a causa dei maltrattamenti subiti.
“Codice Rosa nasce da un grande atto di umiltà – racconta la dottoressa Doretti – ci siamo accorti che come azienda sanitaria non avevamo dati sulla violenza di genere, come se qui a Grosseto non esistesse, eppure il pronto soccorso è il posto dove prima o poi chi subisce violenza arriva sempre: ci siamo resi conto che pur con le migliori procedure evidentemente non stavamo lavorando bene.”
Grazie a Codice Rosa oggi in ogni pronto soccorso della Toscana c’è una stanza dedicata alle vittime di violenza. Partito come progetto solo sanitario si è esteso coinvolgendo una task force interistituzionale, formata non solo da infermieri, ostetriche, medici, assistenti sociali e psicologi ma anche da magistrati e forze di polizia. Con un unico obiettivo: prestare immediate cure a chi subisce violenza e contemporaneamente intervenire nei confronti di chi ha commesso quella violenza.
“Oggi Codice Rosa è in tutti i presidi della sanità toscana, perché una donna o un bambino che subisce una violenza se accede alle tre di notte a Pitigliano, a Fivizzano o a Firenze deve avere la stessa risposta di aiuto – continua la dottoressa Doretti – ma sui temi della violenza di genere e dei crimini d’odio è impossibile che un ente, una istituzione o un centro antiviolenza dia da solo una risposta esaustiva, per questo è importantissimo il lavoro di squadra, per dare risposte di insieme. È inutile che io abbia 26mila casi di Codice rosa se poi non c’è un legame forte con il territorio, con le associazioni, con le scuole, con la polizia giudiziaria, sia prima che dopo.”
25mila accessi in Codice Rosa in nove anni
Dal 2012 al 2021 infatti gli accessi al pronto soccorso in Codice Rosa sono stati oltre 25mila. I dati più recenti raccontano un fenomeno purtroppo in ripresa: la pandemia e il lockdown avevano ridotto il numero di casi e denunce ma nel 2021 sono tornati ai livelli del 2019, con 1.918 episodi nel corso di tutto l’anno, che comprendono oltre alle donne anche le vittime di atti di discriminazione e odio.
“Ringrazio la fiducia che la mia Regione e il presidente Giani hanno riposto in me, saranno ancora tre anni complessi e di lavoro molto attento e capillare – sottolinea la dottoressa Doretti – stiamo già mettendo in atto le lezioni imparate dal Covid, come aver capito che in situazioni di difficoltà le donne sottoposte a discriminazioni multiple sono quelle che perdiamo per prima, che pagano il prezzo più alto. Renderemo più forti e stabili i rapporti con i centri antiviolenza, che vanno sostenuti nel loro lavoro preziosissimo, e continueremo a lavorare con la procura, perché fare bene la parte forense è nell’interesse di tutti, permette di evitare discriminazioni secondarie in caso di denuncia. Dobbiamo aiutare le donne lungo tutto il percorso, è inutile offrire loro la possibilità di denunciare la violenza subita se poi come Stato, come istituzioni, non diamo il sostegno a quello che c’è dopo la denuncia o la fuga da casa.”
“Con il Codice Rosa siamo riusciti a far passare il messaggio che la violenza sulle donne non è un tema di serie B ma un tema di cui lo Stato deve farsi carico, ma c’è ancora molta strada da fare perché le donne continuano a morire” conclude la dottoressa Doretti che fino a settembre è stata anche consulente della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul Femminicidio del Senato. “Dal dossier della Commissione è emerso un dato agghiacciante: la maggior parte delle donne uccise dal 2017 al 2019 non aveva mai parlato con nessuno di quello che stava vivendo. Serve un cambiamento culturale a tutti i livelli, anche nella comunicazione.”