“Outside of society, that’s where I want to be” cantava Patti Smith una frase che sembra i Jennifer Gentle abbiano preso alla lettera fin dall’inizio della loro fondazione a Padova nel 1999.
Outsider, liberi da ogni logica di mercato la band fondata dal frontman Marco Fasolo (anche produttore e autore di colonne sonore) prende il nome da una strega citata nel brano Lucifer Sam dei Pink Floyd.
Hanno sempre cantato in inglese e si sono affermati prima all’estero che in Italia, nel 2005 sono stati la prima band italiana pubblicata dall‘etichetta Sub Pop.
Per la Sup Pop hanno registrato tre album: Valende (2005), A New Astronomy (2006) e The Midnight Room (2007), e hanno fatto un tour di 40 date in USA in cui hanno suonato con Robin Hitchcock, Sleater-Kinney, Mudhoney, Architecture in Helsinki.
L’ultimo disco della band risale al 2019. Dopo anni di pandemia il sangue scorre veloce nelle vene e grande è la voglia di tornare a suonare, giovedì 12 gennaio i Jennifer Gentle saranno in concerto al Combo Social Club di Firenze in un doppio live in compagnia dei tosco-milanesi Aquarama.
Ecco la nostra intervista a Marco Fasolo
Ciao Marco, i Jennifer Gentle sono nati più o meno 20 anni fa, avresti mai pensato che il viaggio con loro sarebbe durato così a lungo?
No, non potevo sapere quanto sarebbe durato il progetto. I Jennifer Gentle sono un gruppo di persone e quindi non dipende solo da me. Ma il fatto che io avrei continuato a fare musica sì. Quindi lo sapevo per me, ma non lo sapevo per gli altri. La band nel tempo è cambiata molto, dal 2000 a oggi sono cambiate almeno quattro formazioni diverse. Quindi è durata ma attraverso molti cambiamenti.
In 20 anni il mondo della musica è cambiato completamente, la scomparsa del supporto fisico per ascoltare la musica, l’affermarsi sempre di più dei grandi eventi o dei grandi festival a discapito dei piccoli club. Come li hanno vissuti i JG?
Il mio modo di vedere ciò che mi circonda musicalmente e non, è sempre stato abbastanza ‘sui generis’. Quando hai una visione molto precisa e molto particolare che si scolla un po’ da come normalmente la gente fa, possono esserci tutti i cambiamenti che vuoi. Ho avuto la fortuna di partire molto presto all’estero con i Jennifer Gentle, da subito ho potuto capire quanto fosse diverso l’estero, soprattutto America e Inghilterra ma in generale tutto l’estero rispetto all’Italia. Quello che mi era già chiaro fin da subito è che in Italia la musica non è mai stata una priorità a livello culturale. Ci sono un sacco di persone che hanno come priorità la musica non lo metto in dubbio, io per primo ne sono la prova, ma non è questo il punto. La musica non è mai stata culturalmente ed economicamente una priorità in questo paese quindi i cambiamenti che sono avvenuti erano abbastanza inevitabili. Il cambiamento che è avvenuto all’estero quello era meno scontato e questi ultimi tre anni di reclusione di certo non hanno molto aiutato. Si è spinto molto di più sul ‘do it yourself’, sul faccio le cose e le immetto nell’universo. Tutto il meccanismo di disco-tour-agenzia discografica è venuto meno.
In Italia ci sono poche persone che inseguono, si focalizzano o investono sulla propria cifra. Poi ci sono tantissimi bravissimi mestieranti, manovali della musica. Siamo un enorme cover band. L’Italia sta alla musica come una cover band sta ai Queen.
Voi siete “quasi” più famosi all’estero che in Italia. In un’intervista di qualche anno fa hai detto una cosa che mi ha colpita molto: “L’Italia è un paese di pecore”. Sembra quasi che per voi il riconoscimento in Italia sia venuto dopo quello all’estero
Siamo pecore, con le dovute eccezioni, perchè (e questi anni ne sono la prova) tendiamo a seguire molto più uno standard che non parte da noi ma che raccogliamo da altri. Quindi va da sè che nel momento in cui tu cerchi di stare in un abito che non è il tuo, la cosa un po’ decade. Io l’ho sempre detto e lo ripeterò fino al vomito, ci sono poche persone che inseguono, si focalizzano o investono sulla propria cifra. Poi ci sono tantissimi bravissimi mestieranti, manovali della musica che fanno sufficientemente bene da creare un indotto le cose degli altri. Siamo un enorme cover band, dovendo tirare giù le somme in una maniera estremamente goffa. L’Italia sta alla musica come una cover band sta ai Queen.
Sei musicista ma anche produttore, ti ritieni un artista libero?
Ho la libertà di fare ciò che voglio e ho anche la libertà di non fare nulla se ritengo che, com’è successo in questi ultimi anni, il terreno sia talmente poco fertile o non pronto che sia meglio non-fare, cosa che infatti ho fatto. Adesso ho ripreso perchè è possibile senza che si cada nel grottesco. Mi reputo libero, tra le 4 mura di casa mia con la chitarra o qualunque altra cosa sono estremamente libero.
Quindi negli anni della pandemia non hai prodotto? So che sei estremamente prolifico, mi sono immaginata che tu avessi scritto chissà quanta musica
Ho prodotto molto ma non a nome Jennifer Gentle. Ho lavorato molto su molti progetti diversi, tra cui per esempio I Hate My Village, quella è una realtà che non si è mai veramente fermata.
Un nuovo disco dei Jennifer Gentle?
È sicuramente in arrivo, non chiedermi quando ma è sempre in arrivo qualcosa in quanto cerco di vivere la mia libertà creativa. Non ho mai avuto un contratto e non l’ho mai voluto tantomeno quando ero con la Sub Pop. Non ho mai avuto nessuno che mi punzecchiasse a fare entro certe scadenze.
Sei un autore di colonne sonore e ami molto il cinema soprattutto italiano. Ultimamente sono emersi molti compositori, Hans Zimmer, Jonny Greenwood, Trent Reznor e Atticus Ros… e molti altri, c’è qualcuno di loro che ti piace particolarmente?
Non seguo, se inciampo o incappo in qualcosa che mi piace è sempre un’estasi per me ma non sono uno di quelli che va in cerca. Hai parlato di Greenwood, lui è emerso come compositore per il cinema solo negli ultimi anni. E’ una persona con un background musicale che non è all’ordine del giorno. Un musicista che suona in una band pop-rock di estremo successo però studia Penderecki e la dodecafonica. Trovo che quel tipo di complessità, completezza o almeno di vastità di vedute aiuti molto. Per riagganciarmi al discorso di prima vedo che invece in Italia sono riusciti a trasformare la musica in un lavoro e quindi in una stronzata. Mi spiego, non vuol dire che non si può creare un indotto, però è diventato un lavoro d’ufficio. Poi ci sono le eccezioni, io ho lavorato con un sacco di giovani band che fanno musica col cuore. Ti posso anche fare dei nomi: Mizula una band di Perugia, gli Animaux Formidables di Torino. Sono nomi di band che nessuno sicuramente conosce.
Nel 2022 avete ricominciato a suonare dal vivo con tante date, ti è mancata la dimensione live in questi ultimi anni?
Mi è mancata molto ovviamente, abbiamo fatto di tutto per poter riprendere a suonare. Stiamo avendo una buona media mensile di date considerato che siamo fermi da anni senza niente di nuovo fuori. E’ una cosa sulla quale mi sono molto impuntato, poter esistere nonostante non ci fosse una grande attività sui social, anzi non c’è stata affatto e nessun disco nuovo. Questa è un’altra cosa da cui mi chiamo fuori: l’obbligo di esserci per esistere. C’è casomai l’obbligo di esistere per esserci.
Credo che oggi soprattutto i giovani musicisti sentano molto la pressione di questo obbligo, la vivono sulla loro pelle. C’è questa mania di pubblicare continuamente singoli.
Questa cosa in realtà esisteva anche prima dei social, storicamente si faceva anche negli anni ’50 e ’60. Però aveva una qualità, mentre adesso non mi sento di far parte di questa catena di montaggio che è veramente insensata perchè nella maggior parte dei casi non muove soldi, cioè non smuove particolarmente l’economia. Nei casi in cui muove l’economia, proprio perchè ci sono soldi che girano io mi augurerei di vedere un po’ più di sfida e di menefreghismo, non lavoro d’ufficio. La gente si assicura il sostentamento minimo base attraverso un lavoro che fino a qualche tempo fa non rendeva assolutamente niente. Adesso è diventato tutto una sorta di Sanremo prêt-à–porter, se mi sento libero è proprio perchè non ne faccio parte.
Sono curiosa, cosa farete a Firenze, ci saranno pezzi nuovi?
Abbiamo scarnificato molto il corpo dei Jennifer in termini di arrangiamenti, siamo tornati all’essenziale, cosa che secondo me manca totalmente in questo periodo in cui c’è molta sartoria ma c’è poca ciccia sotto i vestiti. Nel bene e nel male il nostro intendo è tornare all’essenza del fare musica, dello stare su un palco a mettersi in scena, divertirsi e dimenticare tutto e tutti per quell’ora e un quarto. Abbiamo scelto dei brani che potessero stare in piedi egregiamente con questo nuovo assetto minimale e aggressivo. C’è uno spirito ridanciano, festivo e sporco, diciamo. Per le date che abbiamo fatto fin’ora ti posso dire che la gente ha reagito in una maniera inedita, c’è fame e sete di musica.