Francesco ‘Ciccio’ Graziani compie 70 anni e festeggia in quella che ormai da mezzo secolo è la sua città di adozione, Arezzo. “Sono figlio di questa realtà, vivo bene ad Arezzo e in Toscana – dice oggi -, mi sono integrato perfettamente ed ho un bellissimo rapporto con la città, la gente mi stima, mi regala simpatia. Mia moglie è aretina dunque ormai sono un aretino vero“.
Il ricordo dell’amico Paolo Rossi
Il pensiero di Graziani, nel giorno del suo compleanno numero settanta (nato a Subiaco il 16 dicembre 1952) va all’amico Paolo Rossi, altro aretino d’adozione. “Paolo viveva a due passi da qui, a Bucine, nel suo meraviglioso agriturismo – dice l’ex attaccante di Torino, Fiorentina, Roma e della Nazionale -, oggi, sarebbe stato qui con me, ma idealmente c’è, insieme a Gaetano Scirea ed Enzo Bearzot“.
L’omaggio al ct Enzo Bearzot
Sul ricordo del ct della Nazionale italiana che 40 anni fa centrò la vittoria nel mondiale spagnolo scende qualche lacrima di commozione. “Enzo Bearzot era una persona meravigliosa, potevi parlare di tutto con lui, dei problemi familiari, degli investimenti da fare, della vita in generale“, ricorda Graziani. E rivela una questione che nel mondo del calcio non è mai emersa appieno: il ‘cuore Toro’ di Bearzot, universalmente visto nell’immaginario italiano come allenatore degli Azzurri e basta.
“In verità Bearzot – spiega Ciccio Graziani – amava sotto sotto i giocatori del Torino, in modo particolare proprio perché tifava Toro, ci aveva giocato in carriera. E lui aveva ricreato, all’interno di quella Nazionale vittoriosa lo stesso senso di appartenenza. Impossibile dimenticarlo“.
Dal Mondiale di Spagna il pensiero salta dritto a quello del Qatar che arriva domenica alla sua conclusione. Graziani non ha mai nascosto il suo tifo per l’Argentina di Messi. “Sarà l’ultimo mondiale di Leo Messi. Un campionissimo come lui deve vincere almeno un campionato mondiale – esorta Graziani -. Il Qatar è la sua ultima occasione, ecco mi piacerebbe che chiudesse alzando la coppa“.
Francesco Graziani guarderà la finale dalla sua casa di Arezzo , città che lo considera pure come colui che fece ripartire il calcio dopo il fallimento del 17 aprile 1992. “Non potevo stare fermo e vedere la caduta rovinosa della squadra che da ragazzo mi aveva lanciato, senza fare nulla, pensare che il calcio sparisse ad Arezzo mi faceva troppo male e così – racconta – ci rimboccammo le maniche insieme ad altri amici e al comitato di sostegno e in cinque anni riportammo l’Arezzo laddove era finita l’avventura ovvero in Serie C. Fu un lavoro duro ma ne vado ancora orgoglioso, speriamo che gli amaranto ci ritornino già quest’anno“.