E’ Peposo Day all’Impruneta. Sabato 19 e domenica 20 novembre il centro storico si anima per la sfida gastronomica tra i rioni. Clou della kermesse, organizzata dall’Ente Festa dell’Uva con patrocinio del Comune di Impruneta la sfida del miglior peposo.
Quattro rappresentanti dei rispettivi Rioni: Fornaci, Pallò, Sant’Antonio e Sante Marie si sfideranno ai fornelli proponendo le loro interpretazioni del rinomato piatto, oggi marchio registrato. Il peposo, anche in versione da asporto su prenotazione, potrà essere accompagnato da assaggi di vino affinato in anfora. Presenti all’evento alcune aziende agricole aderenti al Consorzio Chianti Colli Fiorentini e da altre province italiane.
La manifestazione trova da quest’anno spazio sotto i loggiati del Pellegrino in Piazza Buondelmonti. Allestita sotto le volte una mostra artistica composta da opere realizzate dalle Fornaci Storiche Imprunetine.
Sabato 19 alle 18 nel museo Festa dell’Uva in piazza Buondelmonti il convegno “Il peposo secondo la storia e la tradizione” rende omaggio al piatto simbolo di questo territorio. A intervenire, moderati da Lirio Mangalaviti, il giornalista enogastronomico Leonardo Romanelli e l’accademico della cucina italiana Paolo Pellegrini. Seguirà poi cena sotto i loggiati del Pellegrino.
Domenica 20 novembre il via a partire dalle 10 della manifestazione e la degustazione durante tutta la giornata di peposo e vini in anfora. Nel pomeriggio alle 16.30 la sfida del peposo tra i quattro rioni e a seguire la proclamazione del vincitore e la chiusura dell’evento.
Impruneta è quindi pronta per il Peposo Day. L’occasione per un confronto sul piatto tipico e, per dirla con le parole di Leonardo Romanelli, “definire anche una volta per tutte se la ricetta deve essere immutabile o si deve adattare ai tempi“.
Con il critico enogastronomico ricordiamo la storia di questo piatto tipico della tradizione dell’Impruneta. “Nasce all’interno delle fornaci – ricorda Romanelli – quando i forni andavano a legna, ed era necessario che i fornacini, lavoratori del settore, passassero le notti davanti ai forni per alimentare il fuoco”.
Il peposo nasce così durante le lunghe notti passate svegli dai lavoratori: “è una pietanza povera ma molto gustosa, ricca di sapore, che doveva essere confortante per riuscire a reggere il freddo invernale e risvegliarsi dalla stanchezza. La carne più povera, messa in un tegame – di cotto naturalmente – alla bocca del forno“.
Un’immagine poetica, artistica per certi versi. Al punto da conquistare, a cominciare dal palato, anche un architetto eccellente. “La leggenda racconta che Filippo Brunelleschi, andasse in prima persona nelle fornaci, per effettuare il controllo sui mattoni per la “sua cupola”, che dovevano essere perfetti. In quelle occasioni si dice abbia più volte assaggiato il peposo e ne sia rimasto entusiasta” sottolinea Romanelli.
Fin qui la storia. Ora con Romanelli vediamo quelle che sono le caratteristiche del piatto e cosa non può andare o al contrario non deve mancare. “Il peposo nasce in epoca rinascimentale, non può avere pomodoro – puntualizza subito il critico enogastronomico -. Sul pepe le idee sono diverse: se la spezia risultava un genere molto caro dell’epoca, può darsi che il suo utilizzo fosse più parsimonioso“.
Per quanto riguarda l’utilizzo del forno questo impedisce “la rosolatura della carne e l’impiego di un soffritto di odori. L’unica cottura prevista è dunque quella in umido. La concessione può essere fatta sugli aromi, a parte pepe ed aglio. È invalsa da molti l’abitudine di mettere concentrato ma nella ricetta originale non ci va” aggiunge ancora.
Infine il peposo, soprattutto per i non toscani, non ha nulla a che spartire con lo spezzatino. “Per cucinare lo spezzatino la carne è rosolata in padella con olio, dopo essere tagliata a cubetti, passati magari nella farina. Il tutto viene poi inserito in casseruola in un soffritto, dove inizia la cottura in umido con vino, pomodoro e brodo” conclude Romanelli. Niente a che spartire con la poesia del peposo.