Sono riusciti a rispondere a domande semplici, ma importanti: “Come stai?”, “Come ti senti?”, “Hai fame, sete, dolore?”. Sono anche riusciti ad esprimere finalmente un pensiero che era fermo in testa ma non usciva e, tra poco, appena l’uso della macchina diventerà più familiare, potranno comunicare meglio con i propri cari. Un passo enorme per due malati di Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, che all’ospedale di Pistoia hanno utilizzano il Brain Control-BCI negli ambulatori della Neurologia.
Come funziona il Brain Control
Un’interfaccia cervello-computer trasforma i pensieri in azioni e così i due pazienti sono riusciti a farsi capire, non senza una grande emozione. Con loro le dottoresse Chiara Sonnoli e Michela Grazzini, neurologa e pneumologa, del team dedicato alla Sla che opera nella struttura diretta dal dottor Gino Volpi.
Il sistema, donato dal Rotary Club Marino Marini Pistoia-Montecatini, è in grado di interpretare i segnali elettroencefalografici e per mezzo di un software dedicato li traduce in azioni: il paziente è così in grado di selezionare, tramite il pensiero, le risposte alle domande poste che vengono riversate su un dispositivo informatico (un tablet o un computer) che si esprime vocalmente al posto del paziente stesso. Il dispositivo è stato realizzato per pazienti con gravissime disabilità comunicative e motorie, ma con abilità cognitive sufficientemente integre.
“I sensori posizionati sul caschetto EEG indossato dal paziente –spiega la dottoressa Sonnoli – registrano le onde cerebrali attivate in seguito ad un preciso pensiero che vengono poi decodificate e riversate per mezzo del software su un dispositivo tipo un tablet o un pc per eseguire dei comandi o rispondere a delle domande”. L’ospedale di Pistoia è il primo a livello aziendale a dotarsi di tale dispositivo informatico e in futuro potrebbe essere utilizzato anche per chi ha subito gravi traumi o ictus, come malati di sclerosi multipla e di distrofia muscolare.
Il Brain Control-BCI, sempre sfruttando solo i pensieri, è in grado di aiutare anche i pazienti in uno stato avanzato della disabilità che hanno però conservato movimenti residui (ad esempio nelle pupille) che vengono comunque tradotti dal sistema per far interagire i malati con il mondo esterno.