L’attuale situazione geopolitica ha reso evidente quanto sia importante diversificare le fonti di approvvigionamento energetico per uscire dalla dipendenza dal gas russo. Il Governo italiano sta stringendo accordi con altri paesi produttori o considerando gli impianti di gassificazione. Oltre a questa corsa contro il tempo per le fonti fossili, resta l’impegno richiesto dal PNRR per la transizione ecologica e la produzione di energie green e rinnovabili.
Insieme a Bruno Facchini, professore ordinario di Sistemi per l’energia e l’ambiente e direttore del Dipartimento di ingegneria industriale dell’Università di Firenze, abbiamo fatto il punto sulle energie rinnovabili in Toscana e le potenzialità di sviluppo di questo settore.
Qual è lo stato dell’arte in merito alle energie rinnovabili in Toscana?
La situazione in Toscana è di tipo medio rispetto al contesto nazionale come potenza installata delle varie tipologie di energie rinnovabili. La Toscana ha un dato di partenza rilevante: è infatti l’unica regione italiana che ha significative applicazioni in ambito geotermico per oltre 800MW di potenza elettrica installata. Da un lato questo ci fa partire da una posizione di privilegio, dall’altro è una posizione acquisita già negli anni 60. Se guardiano il dato complessivo, la Toscana ha il 4% delle potenze installate in ambito elettrico sulle rinnovabili a livello nazionale. Buona parte di questo dipende dalla geotermia che equivale a circa un terzo. Negli altri settori siamo un pochino più indietro: 300MW in ambito idraulico, 150MW dall’eolico, 800MW dal solare e 160MW dalla bioenergia.
A livello di produzione di energie da fonti rinnovabili, il contributo della Toscana sale al 7% sempre grazie al contributo della geotermia che ha un funzionamento continuo della sorgente, a differenza del solare o dell’eolico che per loro natura sono discontinue e dipendono da fattori climatici.
È possibile trovare un equilibro tra la transizione ecologica e la tutela del paesaggio in Toscana?
La Toscana tutela il territorio e le procedure autorizzative sono complesse. La mia competenza è più legata alle fonti, ai sistemi di conversione e alle loro applicazioni ma le soluzioni sono potenzialmente disponibili e applicabili. Ci troviamo in un regime di competenze concorrenti dove gli enti locali hanno un ruolo determinante nell’approvazione di questi impianti. La natura del nostro territorio e la storia tendono ad acuire la sindrome coniata negli anni 50 negli USA che nessuno vuole nel proprio giardino un qualcosa che lo possa disturbare come il rumore di un impianto solare, o l’impatto visivo o altre complicazioni a tutto questo si aggiunge la contrarietà al potenziamento dei sistemi di gassificazione a cui ci sta portando il conflitto. La transizione ecologica porterà variazioni di abitudini e il modo di concepire il territorio per questo dobbiamo interiorizzare il concetto altrimenti è facile acquistare gas naturale in altre parti nel globo e poi meravigliarsi se poi questo ad un certo punto viene meno.
Con le tempistiche dettate dall’attuale situazione geopolitica è più immediato fare accordi con altri paesi produttori di gas rispetto che potenziare le energie rinnovabili?
L’Italia è un paese che ha un larghissimo uso di energie rinnovabili. Nel 2020 le energie rinnovabili hanno coperto il 41,7% della produzione di energia elettrica ed è un dato veramente significativo. Potevamo certamente fare meglio ma resta il fatto che gran parte delle energie rinnovabili hanno un funzionamento discontinuo non facilmente prevedibile e che segue l’andamento climatico. Non è possibile pensare che diventeremo indipendenti con le energie rinnovabili ma è necessario prevedere un mix energetico che diventi sempre più svincolato dalle fonti fossili.
Dobbiamo fare uso di tutte le potenziali tecnologie disponibili, se spostiamo il nostro fornitore di gas naturale dipenderemo sempre dal contesto geopolitico perché fuori dal nostro territorio e dal contesto dell’Unione Europea, che è priva di questo tipo di energia. La diversificazione è l’unico sistema per renderci competitivi e resilienti a queste oscillazioni. Affrontare il problema pensando che ci sia un modo semplice per risolverlo è riduttivo e porta a situazioni di crisi e a rischiare impatti forti sul sistema economico e sociale.
Per promuovere le rinnovabili si è puntato sugli incentivi, sono un sistema efficace?
Che l’incentivo serva lo vediamo con la progressione storica delle fonti di energia rinnovabili in Toscana. C’è stata una crescita molto forte nell’ultima crisi economica tra il 2010 e il 2014 quando le rinnovabili sono state molto incentivate e c’erano siti a disposizione e possibilità ampie. Negli ultimi 5-6 anni i numeri sono cresciuti decisamente più lentamente perché gli incentivi sono rallentati, i costi si sono ridotti. È legittimo che, ad un certo punto, il sistema raggiunga una sorta di equilibrio.
Oltre agli incentivi è necessaria anche l’informazione. Senza di questa c’è il rischio che gli interventi di efficientamento energetico siano appannaggio di chi ha maggiori conoscenze, redditi più alti e di persone che sono in grado di districarsi in complesse operazioni burocratiche.
Dal suo punto di vista su quali elementi la Toscana può migliorare?
Probabilmente su informazione e sul coinvolgimento della popolazione per far comprendere che certi tipi di intervento non sono da escludere aprioristicamente. Serve una maggiore penetrazione del concetto che si può modificare il territorio, si possono installare impianti e che questa è l’unica soluzione per diventare più indipendenti insieme alla semplificazione delle procedure burocratiche. Tutelare il territorio e la penetrazione di questo tipo di impianti sono esigenze contrastanti. I dati però parlano chiaro ed evidenziano che più della metà di quello che consumiamo in termini di energia non proviene dal nostro territorio e questo è un dato di fatto che non possiamo fare a meno di considerare.