Venerdì 25 marzo sarà in concerto in Sala Vanni a Firenze Marta Del Grandi un’artista che ha viaggiato per tre continenti dall’Asia all’America e che unisce influenze lontane e vicine creando uno stile unico.
Ha mosso i primi passi nella musica studiando voce jazz al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e poi in Belgio a Gant.
Successivamente è partita per la Cina ed il Nepal, dove ha insegnato al Kathmandu Jazz Conservatory.
Rientrata in Italia, attraverso la lente dei suoi viaggi e di ciò che di nuovo aveva visto, Marta ha creato un disco che racconta storie di fossili marini sulle cima dell’Himalaya, miti intorno ai pietre preziose e specie in via d’estinzione.
Una delle sfide più grandi è stata auto-prodursi l’album, grazie soprattutto agli incoraggiamenti del musicista Shahzad Ismaily che ha lavorato con Laurie Anderson and Lou Reed, John Zorn, Bonnie Prince Billy, che ha registrato batteria e synth, oltre che mixato l’album a Brooklyn.
Lo scorso 5 novembre è uscito il suo album di debutto “Until We Fossilize” per l’etichetta Fire Records, un disco pieno di pensieri, emozioni e storie, una gemma auto-prodotta colonna sonora di un viaggio che lascia senza fiato.
Ecco la nostra intervista a Marta Del Grandi
Ciao Marta negli ultimi anni hai avuto una vita davvero cosmopolita, hai vissuto in Belgio, poi in Cina e in Nepal, poi anche a New York. In che modo tutto questo si è riflesso nella tua musica?
Sono state esperienze molto diverse tra loro. Mi sono trasferita in Belgio per studiare al Conservatorio a Gant. Ai tempi ero iscritta al dipartimento di Jazz, in Belgio gli studi di Jazz si sono evoluti in modo più eclettico, in Italia la scuola ha un’impostazione più tradizionale. E’ stato interessante perché ho potuto sperimentare con diversi generi musicali e con l’improvvisazione libera e incontrare musicisti che scrivevano musica in modo molto diverso, con uno stile di creazione diverso e questo mi ha aperto molto la mente.
E’ stato lì che ho scritto i miei primi brani e ho pubblicato un disco col nome MartaRosa nel 2016 e ho iniziato un percorso da cantautrice.
Poi mi sono trasferita in Cina per un’esperienza di lavoro, lavoravo come insegnante di canto presso un istituto di jazz, è stato abbastanza breve, molto interessante per la mia crescita personale però non ho scritto nuovi brani in quel periodo.
In Nepal ho vissuto per tre anni ed è stato un paese importantissimo per me, lo è ancora nonostante dall’inizio della pandemia io viva in Italia e non sia più potuta tornare lì, per me è un luogo in cui ancora in un certo senso vivo.
Ho lavorato per cercare di creare delle situazioni in cui i musicisti potessero portare la loro musica originale ed esibirla davanti a un pubblico di ascoltatori attenti. Quest’esperienza mi ha aiutata a creare sinergie con moltissime persone e a conoscere la realtà dei musicisti locali e di quelli che viaggiavano.
Deve essere stata veramente un’esperienza unica
Per me era la normalità, mio marito è nepalese quindi abbiamo una connessione molto forte con quel paese. Per quanto inizialmente è stata un’esperienza che mi ha dato moltissima energia e ispirazione a un certo punto era la mia normalità. Penso che abbia avuto generato in me un grande cambiamento a livello personale e artistico. Mi ha fatto crescere molto perché io sono una musicista che lavora molto da sola, prima ero un’autrice poi ho iniziato a fare da sola anche le produzioni. La necessità mi ha spinto a sviluppare queste capacità con la consapevolezza che quella era la direzione giusta per me.
Il tuo disco si avvale della preziosa collaborazione di un musicista straordinario Shahzad Ismaily, come vi siete conosciuti?
Ci siamo conosciuti tramite amici in comune. Io ho scoperto la sua carriera e le collaborazioni ai dischi e ai live. Siamo entrati in contatto perché stavamo lavorando a un progetto di residenza artistica in Nepal e volevamo invitarlo come mentore. Questo succedeva gli ultimi mesi prima della pandemia, adesso il progetto è ancora in cantiere, in attesa che sia possibile tornare a fare viaggi internazionali molto lunghi, senza troppe preoccupazioni. Grazie a questo scambio di contatti io ho poi potuto fargli ascoltare le canzoni a cui stavo lavorando e da lì abbiamo deciso di collaborare da remoto nel secondo lockdown nell’inverno 2021. Abbiamo lavorato insieme al mix e lui ha suonato le batterie e il Moog nel mio disco. Io sono rientrata da New York da poco, finalmente ci siamo conosciuti da vivo!
Leggendo la tua biografia mi colpisce il fatto che ci sono molte donne che hanno segnato la tua esperienza musicale come Tatiana Corra, Cecilia Valagussa e Elettra Fiumi
Tatiana Corra è stata la mia prima insegnante di canto quando ero un’adolescente, è una cantante di musica lirica, Opera, è stata molto importante per me. Gli insegnamenti di tecnica vocale che mi ha dato lei sono quelli che mi porto avanti ancora oggi e che ho insegnato ai miei allievi e trovo ancora che siano le informazioni più importanti a livello tecnico che mi siano mai state date, nonostante io abbia studiato anche in istituti di importanza internazionale.
Cecilia Valagussa è una mia carissima amica e collaboratrice, con lei abbiamo fondato nel 2016 un progetto che si chiama “Fossick Project”. Si tratta di una collaborazione tra me come musicista e compositrice e lei come illustratrice tramite proiettore e lavagna luminosa. Creiamo delle performance di immagini e musica che possiamo definire una sorta di teatro delle ombre contemporaneo. Raccontiamo storie che si ispirano alle specie animali in via d’estinzione ispirandoci sia ai luoghi che visitiamo sia a leggende e miti della tradizione classica.
Elettra Fiumi l’ho conosciuta perché ha contattato Fossick Project nel 2019 in occasione di un evento che si intitolava “9999 Revival” che si è tenuto a Firenze allo Space Elettronic una discoteca fondata dal gruppo di architettura radicale anni Settanta 9999 di cui faceva parte il padre di Elettra. In seguito ci ha coinvolte in un progetto documentario che si chiama “Radical Landscape” che vuole raccontare la storia del movimento. Il film non è ancora uscito ma c’è un brano mio che è anche la traccia di apertura del mio disco.
Ho ascoltato molto il tuo disco che devo dire rispecchia molto i miei gusti musicali, ti immagini mai chi ascolta i tuoi dischi? Per chi componi la tua musica?
Questa è una domanda molto interessante, quando scrivo non ci penso molto. La mia volontà, quello che cerco quando scrivo è di trovare una dimensione in cui sento che sto esprimendo al meglio chi sono io. Cerco di scrivere delle cose che mi piacerebbe ascoltare. Non ho uno stile musicale che preferisco e anche nella mi scrittura cerco di essere il più possibile aperta, sono alla ricerca di suoni contemporanei. Mi piace stupire prima di tutto me stessa e poi gli altri.