Storie /il caso danese

La lezione del nazista che salvò gli ebrei: esiste sempre un’altra via

Mentre continuiamo a parlare di guerra, nel libro scritto dall’empolese Andrea Vitello (con prefazione di Moni Ovadia) conosciamo la storia del nazista danese che salvò 7mila ebrei. “La storia c’insegna che è possibile resistere, anche rinunciando alla violenza” racconta l’autore

Purtroppo abbiamo ricominciato a fare i conti con il lessico della guerra. In questo contesto così incerto non ci è concesso fermarci alla superficie delle cose. Per capire, per comprendere davvero, occorre andare a fondo nella vita e nella storia delle persone e dei popoli. Un’operazione immersiva che si fa forte anche delle esperienze di un passato neppure troppo lontano. Un caso tra i tanti? Il coraggio e la resistenza dei danesi durante la seconda guerra mondiale. Il loro merito è aver dimostrato che è possibile resistere scegliendo la via della pace e della non violenza. In quegli anni si registrano solo scioperi e piccoli sabotaggi.

Questa storia, fino a oggi poco nota, è ben raccontata e documentata nel libro “Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca” (ed. Le Lettere di Firenze, 2022) scritto da Andrea Vitello. Lui, empolese, dopo una laurea in filosofia si è trovato di fronte a una sorta di sliding door. Sono stati sufficienti la partecipazione a un evento pubblico e l’accenno a una storia (quella danese) affinché si accendesse in lui una lampadina. E così ha studiato scienze storiche e portato avanti cinque anni di ricerca sul tema.

A sostenerlo e spronarlo, in questo lungo e incessante lavoro, è stato Moni Ovadia, che poi ha curato anche la prefazione (la postfazione è invece di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo – la foresta dei giusti). “Di quale caso stiamo parlando?” scrive Ovadia. “La mobilitazione di un intero popolo, di un’intera nazione, delle sue strutture politiche, amministrative, militari, religiose, del tessuto sociale, che si mise in moto come un solo corpo per salvare i suoi cittadini ebrei”. Una storia ricca di testimonianze, che ha tutti gli elementi utili per una possibile trasposizione cinematografica che potrebbe facilitare la divulgazione di una vicenda straordinaria.

Il nazista che salvò circa 7mila ebrei si chiama Georg Ferdinand Duckwitz. Nel libro sono riportati stralci del suo diario in cui scrive che esistono leggi morali superiori e che lui obbedirà a quelle. La sua crisi di coscienza lo porterà perfino a far parte del gruppo di cospiratori che tentarono invano di uccidere Adolf Hitler. Di questo e molto altro abbiamo parlato con l’autore Andrea Vitello.

Andrea Vitello

Andrea, il tuo libro è stato appena pubblicato. E ora c’è perfino una guerra in corso…

“Parlare delle storie dei giusti può aiutare e stimolare le coscienze per evitare conflitti e genocidi. Guardiamo la storia della Danimarca. Qua abbiamo l’esempio di una resistenza non violenta al nazismo. Qua non furono introdotte le leggi razziali e si riuscirono a salvare gli ebrei danesi. Certo, i contesti sono diversi. Ma la storia c’insegna che è possibile resistere anche rinunciando alla violenza“.

“Qua non furono introdotte le leggi razziali e si riuscirono a salvare gli ebrei danesi”

Qual è la tua posizione?

“Sono un pacifista, anche se questo termine pare aver assunto significati diversi. Sicuramente sono contrario ad ogni tipo di guerra. Spero che l’Unione Europa, che ha mostrato indifferenza troppo a lungo, possa intervenire per mediare e favorire trattative di pace”.

Quando hai conosciuto per la prima volta questa storia?

“Era il 2015. Stavo concludendo la scrittura della mia tesi in filosofia su Hannah Arendt. Partecipai a una conferenza di Claudio Fava sulla vita di Peppino Impastato. Il padre di Fava, lo ricordo, fu ucciso proprio dalla mafia. Ci disse che era possibile opporsi al male, anche se appare invincibile. E per sostenere questa idea citò proprio il caso della Danimarca. Quando fu imposta la stella di Davide, tutti i reali la indossarono e re Cristiano X la sfoggiava anche a cavallo, diventando un simbolo. Mi chiesi perché a scuola nessuno mi avesse mai raccontato questa storia. Tutto ha avuto inizio in quel momento”.

E quindi cos’è successo?

“Mi sono iscritto a scienze storiche per approfondire i miei studi, e contestualmente ho iniziato le ricerche. Ho dedicato la tesi al salvataggio degli ebrei danesi. Era il 2019, ma la ricerca non era finita. Quindi continuai a studiare”.

Rifugiati ebrei traghettati fuori dalla Danimarca a bordo di pescherecci diretti in Svezia. Ottobre 1943, Svezia

Quanto tempo hai impiegato per arrivare alla scrittura del libro?

“Ci sono voluti cinque anni di lavoro”.

Cos’hai scoperto?

“Tante cose interessanti. Dallo studio dei documenti, pochi e per lo più in lingua inglese, ho ad esempio scoperto che la stella gialla sul braccio di Cristiano X in realtà era una leggenda”.

“In Danimarca non aprirono mai un ghetto, lo consideravano un modo inumano di vivere”

Insomma, hai fatto fact checking sul passato…

“Però gli ebrei sono stati salvati per davvero, così com’è vero il fatto che Cristiano X, con le sue passeggiate a cavallo, era diventato un simbolo di resistenza per tutto il paese”.

Perché il caso danese è unico?

“Perché vedevano gli ebrei come cittadini danesi. Non aprirono mai un ghetto, che consideravano un modo inumano di vivere. Approvarono una legge che rendeva illegale il razzismo e, come detto, non c’è mai stata una resistenza violenta. Tra l’altro la loro è una delle democrazie più antiche d’Europa”.

Un contesto nel quale assume un ruolo anche un personaggio come Georg Ferdinand Duckwitz. È lui il nazista che salvò gli ebrei.

“Viene da una famiglia di mercanti, fu un nazista della prima ora, nazionalista e conservatore di destra. Pur lasciando l’ufficio esteri dopo le prime epurazioni delle squadre d’assalto naziste, rimarrà sempre iscritto al partito. Però vive una crisi a causa della violenza a cui assiste”.

Quando cambia la sua storia?

“Quando scoppia la guerra diventa membro dell’ambasciata. E lui, che è contrario alle deportazioni, resta in Danimarca con l’obiettivo di aiutare quanti più ebrei poteva”.

Come?

“Crea passaporti falsi, fa sabotare navi e diffonde informazioni riservate affinché siano salvate vite. È un nazista che vive una profonda crisi di coscienza“.

Tra le tante testimonianze che hai raccolto, quale ti ha colpito di più?

“Ho consultato tanti archivi. Quelli del museo storico di Copenhagen, dei giusti danesi, del museo dell’olocausto di Washington. Tra le tante storie mi piace ricordare quella della vedova che, con sei figli, era costretta a vendere pesce al mercato. Si chiamava Ellen Nielsen. Nonostante la sua condizione salvò molti ebrei, soprattutto bambini e neonati. Per questa sua attività fu catturata dalla Gestapo e deportata in un campo di concentramento. Sapendo cosa aveva fatto, le fecero accompagnare i bambini nei forni crematori. Una situazione che non riusciva a sopportare, per questo si rifiutò e fu condannata a morte. Alla fine riuscì perfino a salvarsi”.

Barca che trasporta ebrei durante la fuga in Svezia attraverso l’Oresound, 1943

Hai raccontato un frammento di storia poco conosciuto, ma che ha tutti gli elementi per una trasposizione cinematografica.

“Mi farebbe piacere, anche perché in questo modo raggiungeremmo un pubblico molto più ampio. Tra l’altro Moni Ovadia sta girando il suo primo film da regista. Magari ne parerò anche con lui”.

Moni Ovadia ha scritto anche la prefazione. Qual è il rapporto che vi lega?

“L’ho incontrato la prima volta nel 2015, mi ero appena laureato. Gli parlai di questa mia curiosità sul caso danese, lui mi spinse ad andare avanti. Negli anni delle ricerche mi ha sempre accompagnato e stimolato a non mollare, perché questa storia dimostra come si poteva agire in modo diverso. A lui ho dedicato anche il libro”.

Il tuo comune, quello di Empoli, ha appena posto nuove pietre d’inciampo. Sappiamo che desidereresti poter aprire anche un giardino dei giusti nelle scuole della tua città.

“Sì, ho proposto di aprire un giardino dei giusti a Empoli. Il 24 marzo ne inaugureremo uno a Castelfiorentino con gli studenti dell’Istituto Enriques. È un atto importante, proprio come lo sono le pietre d’inciampo”.

Perché?

“Oltre a ricordare la Shoah, qua ricordiamo anche gli altri genocidi della storia. È grazie alla memoria che è possibile costruire nei cittadini del domani il senso civico e una maggiore responsabilità personale”.

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