Cultura /L'INTERVISTA

Quattro parole per capire la guerra vista da qui

Da ripudio a patto, da sanzione a Europa, il professor Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini, spiega come dalla nostra Costituzione in poi la storia abbia cambiato le sue regole

Parole per provare a capire la guerra. Iniziamo a cercarle a partire dalla nostra Costituzione, quella nata dalla resistenza, dall’Europa in fiamme, dalle atrocità del nazifascismo. Il verbo “Ripudiare” riassume il concetto espresso dai padri costituenti. Il professor Cosimo Ceccuti prova a spiegarne il suo valore e la sua forza.

“L’Italia ripudia la guerra. Non rifiuta, non rinuncia. Ripudiare è un verbo molto più forte, deciso. E c’era un motivo. La seconda guerra mondiale non è stato solo un conflitto drammatico tra nazioni. Per noi è stata anche una guerra civile, fratricida”.

Però la storia successiva ha imposto delle mutazioni. Quel “ripudia” è stato diluito dalle necessità. Entra in gioco la parola “patto”. Il mondo diviso in blocchi, la guerra fredda. Quindi la nascita e l’adesione alla Nato.

Se uscivi dai tuoi confini si chiamavano operazioni di pace. Quel “ripudia” ha iniziato a ridimensionarsi

“Adesione che allora fu anche contestata. Non tutti erano d’accordo. E ricordo quando nel 1981 il governo Spadolini inviò i soldati in Libano. Qualcuno disse: non si può, noi dobbiamo solo difendere i confini nazionali. Ma c’erano impegni internazionali da rispettare. Se uscivi dai tuoi confini si chiamavano operazioni di pace. Quel “ripudia” ha iniziato a ridimensionarsi”.

E comunque c’erano i blocchi, appunto. E ognuno si occupava del suo. Quando nel 56’ l’Unione Sovietica invase l’Ungheria nessuno mosse un dito. Al massimo fu la sinistra a riflettere sui suoi riferimenti e sulla sua visione internazionale. Discorso simile nel ’69, con la Primavera di Praga.

“Certamente. Per fortuna Dubcek evitò la guerra civile invitando i suoi a non far ricorso alle armi. Ma di sicuro le immagini di quell’invasione scossero il mondo, così come la storia drammatica di quel ragazzo, Jan Palach, che si dette fuoco per difendere le ragioni di quella stagione di speranza schiacciata dai sovietici”.

La guerra in Ucraina – @diy13/Shutterstock

Oggi l’Europa invia armi e opta per la guerra asimmetrica. La parola è sanzioni. Una parola che implica conseguenze molto dure. Anche per il popolo russo. E per noi.

  Sarà il popolo russo a pagarne il prezzo più alto

“Erano l’unica strada. Questo lo comprendo. Ma sempre guerra è. Chi paga questo prezzo? Gli oligarchi? Sì, certo. Putin? Beh, dal punto di vista dell’economia russa di sicuro. Ma è chiaro che sarà il popolo russo a pagarne il prezzo più alto. E anche noi, perché l’export avrà conseguenze gravi per molte aziende e quindi per molti lavoratori”.

Ora una parola magica. Una speranza, più che altro: soluzione.

“Per ora questa strada è in mano alle autarchie o a sistemi comunque non democratici. Penso alla Turchia e alla Cina. Quest’ultima sarà decisiva, perché ha interesse a difendere sia l’occidente con cui ha stretti legami commerciali, sia la Russia, perché una Russia ridimensionata è destinata a entrare nella loro orbita”.

Professor Ceccuti. L’ultima parola è bella e complessa: Europa. Così come la pandemia ha rilanciato la solidarietà economica, così la guerra costringerà il nostro continente a rafforzare la propria identità.

“Sì, purtroppo a volte solo i drammi riescono a far fare scelte che altrimenti sono destinate a restare nel vago. Penso a una strategia comune sulla difesa, quella che a suo tempo naufragò perché la Francia si rifiutò all’idea che potesse venire meno la sua grandeur militare nazionale. E poi la fine del diritto di veto. Non esiste in democrazia il principio che se non c’è unanimità su determinate scelte tutto si ferma lì. E’ la maggioranza che vince. Così dovrà accadere in Europa, in una Europa più vera”.

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