Non solo cani, gatti, asini, conigli e cavalli. Presto, nella lista degli animali coinvolti nelle attività di pet therapy, potrebbero aggiungersi anche gli alpaca, simpatici quadrupedi che, grazie al loro aspetto calmo e mansueto, aiutano adulti e bambini a superare lo stress, in parte causato anche dalla pandemia.
A Scandicci, chi crede fortemente in questa opportunità è la veterinaria Camilla Esclapon de Villeneuve che, di recente, ha lanciato un appello per chiedere di riconoscere ufficialmente questi camelidi per gli interventi assistiti con gli animali.
Ecco la nostra intervista
Camilla, prima di parlare di pet therapy, ci può spiegare che tipo di animale è l’alpaca? E perché può essere un aiuto per contrastare ansia e paure?
L’alpaca, originario del Sud America, è un camelide, è un cammello a tutti gli effetti. Dal punto di vista digestivo è estremamente rustico perché è uno pseudo-ruminante, per intenderci come la mucca e la pecora, anche se con uno stomaco in meno.
È molto curioso ma è anche una “preda”, quindi alterna la curiosità al timore. Quando intorno a lui ci sono cose che lo allarmano entra in tensione. Ecco perché è importante adoperare un giusto approccio ed è per lo stesso motivo che l’alpaca viene visto come una terapia: se la persona che ci entra in contatto non si rilassa, lui percepisce subito il disagio.
Gli alpaca possono essere un supporto emotivo per adulti e bambini. Che tipo di relazione si crea?
Tra l’alpaca e l’essere umano si crea un rapporto di fiducia. Infatti, più che una proprietaria, mi sento una guardiana di alpaca: il mio dovere è proteggerli e farli sentire al sicuro. In cambio, chiedo loro di “regalarmi” dei momenti di serenità. Tutto questo si basa sul rispetto reciproco.
L’alpaca è in grado di suscitare allegria, tenerezza e amore. Resta solo un ultimo passo: riconoscere ufficialmente la specie per gli interventi assistiti con gli animali.
È per questo che ha deciso di lanciare un appello.
Attualmente, in Italia e in Toscana, ci sono molte persone che organizzano tour e attività con gli alpaca e ricevono numerose richieste da parte di centri sociali, case famiglia, ospizi e Rsa. Queste realtà, quindi, vorrebbero usufruire (e usufruiscono già) della terapia.
Se venisse riconosciuta, porterebbe dei vantaggi: sarebbe da una parte una tutela per l’utenza, dall’altra una salvaguardia per il benessere animale. Si verrebbero a creare così delle équipe specializzate e dei corsi di formazione adeguati, evitando il problema dell’improvvisazione.
All’estero è già così?
In Inghilterra, in Germania e in altri paesi europei ci sono altre regole, ma gli alpaca entrano tranquillamente in questi centri. Sarebbe bello poter seguire questi esempi anche perché i danni post-covid hanno creato nuovi bisogni: c’è la necessità di sognare, di abbracciare, di ridere. E gli animali, non solo gli alpaca, aiutano in questo senso.
Oltre a portare benessere, queste attività sono anche una forma di turismo?
Le richieste di trekking e itinerari con gli alpaca aumentano. E tutto ciò che ruota attorno all’animale diventa promozione del territorio. Con la mia attività ci troviamo sulle colline di Scandicci, le persone vengono qui a camminare nei boschi e rimangono strabiliate dalla bellezza della natura. C’è una vera e propria riscoperta di questi luoghi che si trovano alle porte della città. Abbiamo anche iniziato a proporre dei tour per conoscere piante e foglie, per ammirare la semplicità “ritrovata”.
Molti turisti, sia italiani che stranieri, vengono a visitare i musei e i monumenti di Firenze e poi abbinano la camminata con gli alpaca. Inoltre ho avviato una collaborazione con un’azienda agricola che fa ristorazione, quindi diventa un modo per far gustare i prodotti della zona.
Credo moltissimo nella collaborazione, nella cultura degli animali e del cibo. Tutto è connesso. Spero che non sia solo una moda perché è molto di più: è un qualcosa che ti coinvolge a livello mentale ed emotivo.