Non è un caso che a Sansepolcro si parli così naturalmente di “rigenerazione umana” e che questa trasformazione della società parta dall’arte, dalla cultura e dai giovani.
Sansepolcro, terra di confine che non teme le contaminazioni ma che ama condividere e collaborare
In fondo tutto risiede nel dna di questo borgo-città che ha dato i natali ad una delle figure più emblematiche del Rinascimento, Piero della Francesca. Una terra di confine che non teme le contaminazioni e non si chiude nelle sue mura, piuttosto ama accogliere, condividere, collaborare.
Ed è per questa mentalità aperta al cambiamento che oggi la città prova a generare una nuova trasformazione, mettendo insieme la sua storia, i talenti, le novità dell’espressione artistica, i linguaggi della modernità.
Al centro di questa evoluzione c’è “CasermArcheologica”, uno spazio permanente dedicato all’arte contemporanea al co-working e alla formazione, recuperato totalmente nel 2017 – dopo 30 anni di abbandono – dietro l’impulso dell’artista Ilaria Margutti, della project manager Laura Caruso e di altri 7 soci fondatori dell’omonima associazione che gestisce quest’edificio, Palazzo Muglioni.
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CasermArcheologica, un luogo non-finito dove ancora si può intervenire per nutrirlo di arte
“Questo è un luogo che si prende cura delle sue fratture, delle crepe, delle imperfezioni e vuole però restituire uno spazio in cui le arti diventano uno strumento per tutti, per esprimere se stessi, per incontrare gli altri, per conoscere il mondo e anche per maturare un’idea di cittadinanza”.
Laura Caruso, co-direttrice di CasermArcheologica, presenta così il progetto dell’associazione mentre le sue mani accarezzano le mura: vernice a tratti scrostata, punte di azzurro, di rosso, strati di intonaco che hanno il compito di tenere a mente cosa è stato questo palazzo per la città e cosa vuole essere oggi. Un luogo “non finito”, dove ancora si può intervenire, per nutrirlo di nuova arte, nuovi stili, modernità.
In questo palazzo vide la luce il primo laboratorio artigianale della Buitoni
Un palazzo del Cinquecento che trova oggi una sua dimensione contemporanea dopo essere stato un vivace salotto culturale tra Ottocento e Novecento, grazie alla personalità di Minerva Muglioni e poi – ancora – luogo di lavoro. Proprio in queste stanze, al piano terreno, vide la luce il primo laboratorio artigianale della Buitoni, quando ancora nessuno si sarebbe immaginato che quella piccola produzione si sarebbe trasformata in una delle più importanti industrie di pasta secca e prodotti da forno, stabilendo un legame inossidabile con la città, ancor oggi che l’impresa è di proprietà della Nestlè.
Poi le altre vite di Palazzo Muglioni: un canestro negli spazi espositivi ricorda che questo luogo fu anche succursale di una scuola e della sua palestra. Prima del lungo abbandono di trent’anni l’edificio ospitò anche una caserma dei Carabinieri.
“Il nostro è un progetto di rigenerazione urbana a base culturale – ricorda Laura Caruso. Un luogo riaperto grazie ad un grande attivismo civico che è partito dai giovani ma poi ha coinvolto tante istituzioni pubbliche e private. Da qui passano artisti visivi, coreografi, musicisti”.
Ci sono laboratori che aiutano i giovani ad esprimersi, a tirar fuori il proprio “io”, il proprio sentire
Il bello forse è proprio questo: l’incontro delle personalità, delle professioni, dei talenti. Di chi ancora deve imparare ma sente di dover “dire” qualcosa. Attraverso l’arte, la musica, le espressioni. Ci sono laboratori che aiutano i giovani ad esprimersi, a tirar fuori il proprio “io”, il proprio sentire. Ed ecco che quel sentire esce in una frase scritta su un diario, in una foto, in un ricamo. E’ la contaminazione dell’espressione e del linguaggio artistico che si incontrano in una fortunata alchimia.
La mostra: Buitoni, la città nella città
E’ stato un lavoro collettivo e florido di connessioni anche quello che ha portato – a Palazzo Muglioni – alla mostra “Buitoni, la città nella città”, allestita grazie con la collaborazione del Cral Buitoni e con il sostegno di Fondazione CR Firenze e della Regione Toscana-Giovansì, con il bando “Toscanaincontemporanea2021”.
Testimonianze, ricordi, immagini d’epoca prendono per mano il visitatore fino a catapultarlo in mondo fatto di voci e volti, quelli di 14 persone che lavorano o hanno lavorato in quest’azienda, cuore economico della città.
“Ma la Buitoni non è stata solo questo – tiene a precisare Martina Tognelli, giovane tirocinante di Giovanisì – che ha collaborato al lavoro di ricerca e raccolta delle interviste, di fatto il cuore della mostra stessa, curata da Laura Caruso e Ilaria Margutti.
E’ proprio Martina – insieme – ad altri due giovani: il videomaker Jacopo Tonelli e lo scrittore Riccardo Meozzi – ad aver dato anima, testa e gambe a questo video-racconto immersivo, un viaggio nel tempo, nel lavoro e nei mutamenti della società.
C’era una fusione, una crescita parallela delle fabbrica della Buitoni e di Sansepolcro: si appartenevano
“Mi ha colpito come la storia industriale di una fabbrica diventi poi una storia corale e si trasformi in quella di un territorio, di una città, prosegue la giovane. C’era una fusione, una crescita parallela della fabbrica e di Sansepolcro: si appartenevano. Tutti durante le riprese hanno ricordato il famoso biscotto Nipiol e il profumo che invadeva la città. E poi c’era la vita fuori, la parte sociale che veniva curata dalla famiglia Buitoni, dal “Sor Marco” e dal Cral sociale. Gite, cene, ricordi. Come quelli di Margherita Tizzi che grazie al lavoro in azienda ha potuto vedere il mare per la prima volta a 18 anni”.
“Le immagini d’epoca sono state donate da Michele Patucca, aggiunge Jacopo Tonelli. Poi abbiamo utilizzato le animazioni di Gianluigi Toccafondo. Questo connubio tra interviste, ritratti, animazioni e materiale storico ha permesso di creare un prodotto che ha una potenza comunicativa per tutti, a partire dai giovani”.
Memoria viva che il giovane gruppo di lavoro di ricerca tiene che sia mantenuta, preservata e trasmessa.
Il Museo diffuso: le rete delle “alleanze inedite”
Connessioni continue che si verificano e generano nuovi progetti a Sansepolcro. E’ uno stimolo perpetuo per cavalcare la relazione tra il passato e il presente e rendere tutto accessibile, vivo. E’ il caso del Museo diffuso della città.
Il Museo diffuso? Un’esperienza aperta a tutti
“Un progetto di turismo di prossimità che vuole valorizzare il patrimonio culturale materiale e immateriale – spiega ancora Martina. E’ un’esperienza aperta a tutti, dai cittadini ai turisti. Tutto è iniziato nel 2019 grazie anche ai bandi della Regione Toscana, al tempo era il bando sulla Rigenerazione urbana a base culturale che ha permesso di creare un format che funziona, nonostante che questi due ultimi anni siano stati influenzati dalla pandemia”.
Ci crede anche la project manager Laura Caruso che ha messo insieme tante realtà del territorio, con l’obiettivo di creare una vera e propria rete di visita.
Da una parte c’è CasermArcheologica, il simbolo della contemporaneità e della sperimentazione, dall’altra ci sono le anime antiche della tradizione come il museo del Merletto, il museo Civico e ancora la sede degli sbandieratori, i balestrieri, l’archivio diocesano, la biblioteca della Resistenza, il museo della Vetrata, il campanile del Duomo, dove – grazie al gruppo dei campanari – ancora si tiene il rito del suono delle campane a mano, con il tiraggio delle corde.
Nove tappe per scoprire l’anima viva del borgo, le radici e quel che oggi – questo luogo – riesce ad esprimere. E’ il senso di forte senso di collettività forse l’elemento che tiene tutto unito. Ne è convinto anche il Consigliere del presidente Giani per le politiche giovanili, Bernard Dika, in visita a Sansepolcro.
Dika: Quello di CasermArcheologica è un esempio di rigenerazione umana
“Quella di CasermArcheologica è un esempio di rigenerazione umana – ha ribadito Dika – perché ha permesso alla comunità di Sansepolcro ed ai suoi giovani di rivivere un luogo , quello in cui l’identità dell’ io si unisce e si riconosce nel “noi”. E’ ciò che permette anche a questa comunità di guardare all’esterno con più forza”.
In mezzo a quel noi ci sono anche molti volontari e tanti cittadini che avvertono l’importanza del loro ruolo di autentici narratori della propria terra. Tra loro c’è il giovane Federico che è entrato a far parte del Gruppo Campanari “Borgo Sansepolcro” quando aveva appena 11 anni.
“Ogni bambino qui ha il sogno di salire sulla torre più alta del borgo, racconta. Siamo 15 campanari, io iniziato da piccolo e nel 2010 poi c’è stata la vestizione ufficiale davanti al Duomo. Il campanaro non suona solo le campane – precisa – ma racconta anche la storia del nostro paese, siamo una sorta di Cicerone”.
Giovani che portano avanti le tradizioni e le tengono vive, affinché rimangano patrimonio comune. Una missione che porta avanti anche Francesca Pincardini, iscritta alla scuola di merletto di Sansepolcro, per imparare e tramante l’antica tecnica della “trina a spilli”.
“La tradizione del merletto nasce a Sansepolcro agli inizi del Novecento grazie alle sorelle Gina ed Adele Marcelli che impararono a loro volta questa tecnica da un’ex carcerata – spiega Francesca mentre apre le porte del Museo del Merletto. Le sorelle decisero poi di fondare una scuola che potesse dare lavoro a tutte le donne della vallata, lavoro prezioso durante la prima Guerra Mondiale. Da lì si arriva fino ad oggi con la nuova Scuola del merletto fondata nel 1996, parte delle 28 comunità candidate a patrimonio immateriale Unesco”.
Il merletto? Insegna disciplina e dedizione in un’epoca in cui siamo abituati a risultati facili e veloci
“Io avevo in casa una zia che faceva questo particolare merletto e mi affascinava il rumore di questi fuselli che vedevo roteare così abilmente, ricorda ancora la giovane. Mi sono trovata in casa il famoso “cuscino” di tradizione fiamminga ed ho sentito come dovere personale quello di portare avanti una tradizione che rischiava di andare persa. Ho voluto imparare quest’arte per rendermi conto di cosa significasse lavorare con disciplina e dedizione in un’epoca in cui siamo abituati a risultati facili e veloci e poi volevo mantener viva la memoria di un saper fare così importante”.
Sansepolcro, “connessioni” per il presente
Ecco qua le “connessioni” che servono a tenere vivi i borghi, le città, i luoghi, Le connessioni tra le generazioni, tra i linguaggi, l’arte, i saperi. Tra quel che ci insegnano i tempi passati e quell’oggi che non è mai fermo ma deve evolvere continuamente.
Sansepolcro diventa così uno splendido esempio di collaborazione e di vicinanza tra mondi solo apparentemente lontani: la tradizione, l’innovazione, la sperimentazione.
Anche le tradizioni più antiche nascono da un momento di novità, o no?
Ce lo insegna Piero della Francesca che visse uno dei periodi più floridi dal punto di vista artistico e intellettuale, ce lo insegna questa città che ancor oggi vive e si nutre di “alleanze inedite”.
Lo sottolinea con un sorriso Laura Caruso prima di chiudere le porte di Palazzo Buglioni per parlare con le signore del merletto o con il gruppo dei campanari, con le artiste o con i giovani musicisti che suonano negli spazi di CasermArcheologica. E’ questo il valore più grande di quel luogo dalle pareti “non finite” che lascia spazi continui di apertura, di incontri e di nuova meravigliosa bellezza.