“Abbiamo fatto della nostra scomodità la nostra storia“: Piero Pelù e Ghigo Renzulli rivendicano con orgoglio i loro 40 + 2 (dovuti alla pandemia) anni come Litfiba, annunciando quello che sarà il tour d’addio della band nata nell’autunno 1980 nell’ormai mitica cantina di via de’ Bardi, a Firenze.
“Siamo felici della nostra storia, di tutto quanto fatto e scritto, di 13 album e 10 milioni di dischi venduti e siamo estremamente felici – dice Pelù – di annunciare che questo sarà l’ultimo tour dei Litfiba“. “La giusta conclusione di una lunga storia – chiosa Renzulli – che si concluderà con una grande festa“. Perché nel tour ‘L’ultimo girone‘, che partirà il 26 aprile da Padova e farà tappa a Firenze al Tuscany Hall il 16 e il 17 maggio, i Litfiba proporranno brani da tutti i loro lavori di studio e una scaletta che cambierà per un terzo a ogni data, ripercorrendo la storia di una band sempre controcorrente, anche nell’addio.
Sul palco i Litfiba saranno accompagnati da Luca “Luc Mitraglia” Martelli alla batteria, Fabrizio “Simoncia” Simoncioni alle tastiere e Dado “Back Dado” Neri al basso.
“Sembra che uno oggi non debba mai essere appagato, noi – dice Piero – siamo in controtendenza, non ci aggrappiamo alla poltrona, lasciamo spazio anche ad altri. Siamo semplicemente felici di ciò che abbiamo fatto, siamo contenti di dire ciao con il sorriso, volendoci bene e suonando, perché siamo animali da palcoscenico ed è ciò che ci ha uniti in quel 1980“. La mente vola a quegli anni: “Eravamo cinque ‘raccattati’, tutti con esperienze diverse e abbiamo iniziato – ricorda il frontman – a costruire un suono, una storia, dei racconti. Eravamo estremamente curiosi, con un livello di incoscienza totale, si suonava e basta. Poi abbiamo iniziato con le grandi scommesse, come suonare all’estero quando in Italia solo pochissimi ci consideravano“.
“Oggi sono 35 anni di ’17 Re’, che è considerato uno dei nostri successi, ma all’epoca – interviene Ghigo – non lo considerò nessuno“. “Vivevamo – aggiunge Pelù – tra la cantina e i furgoni scassati, eravamo la manovalanza più bassa della musica, era la gavetta e ci abbiamo messo 9 anni per arrivare al grande pubblico, con ‘Canganceiro‘”.
“Anche con il successo – rivendicano oggi – non sono cambiati: “Siamo sempre stati una band scomoda e ne siamo orgogliosi, non abbiamo mai strizzato l’occhio a destra e manca, anzi, se potevamo scalciare e ruttare e non mandarle a dire ai politici di turno – tutti scomparsi mentre noi siamo rimasti – non avevamo problemi a farlo“. Pelù ricorda le denunce per istigazione alla diserzione e vilipendio alla bandiera rimediate in tour, le posizioni contro le guerre e l’omofobia, ma soprattutto di quando nel ’93, dal palco del Primo maggio, se la prese con il Papa “perché diceva che usare il preservativo era peccato, mentre in Africa l’Aids faceva vittime ogni giorno“.
Già, l’Aids: “Non voglio fare battute ma gli anni ’80 erano davvero il Vietnam e noi – riflette Pelù – siamo dei sopravvissuti, vivevamo nel mito dei 27, l’età in cui morivano i grandi rocker, e anche noi abbiamo avuto i nostri morti. Quando abbiamo iniziato, non avremmo scommesso una lira su dove saremmo arrivati“.
Nonostante i litigi, “abbiamo attraversato non 1 ma 10 Vietnam, a noi gli Oasis – scherza sempre Piero – ci fanno un baffo“. E comunque mai dire mai: “Questo è l’ultimo tour, magari faremo comunque cose insieme” ma senza il nome Litfiba. Sicuramente, dopo il giro di live, “faremo i musicisti, cos’altro?” conclude Pelù, che lancia un’ultima provocazione: “Speriamo che anche gli ultimi irriducibili si vaccinino: se hanno paura della puntura, ce li accompagno io!“.