Erano le 21.45 del 13 gennaio 2012 quando la nave Costa Concordia urtò il più piccolo degli scogli delle Scole, situato a circa 500 metri dal porto dell’Isola del Giglio, provocando uno squarcio di 70 metri nello scafo. Si tratta di uno dei più gravi naufragi mai avvenuti in acque italiane e costò la vita a 32 persone.
A 10 anni dalla tragedia lo scrittore e conduttore radiofonico Matteo Caccia è andato a scoprire come le vite degli abitanti del Giglio siano cambiate. Il risultato è il podcast “Il mondo addosso” ascoltabile sulla piattaforma Audible.
In tutto sono 10 puntate di 50 minuti ciascuna, un racconto corale e privato che prende vita grazie alle voci degli abitanti dell’isola del Giglio che in quella notte hanno accolto, soccorso, nutrito e scaldato i superstiti del naufragio.
Ecco la nostra intervista a Matteo Caccia
Ciao Matteo! Cosa ti ha spinto ad andare sull’isola del Giglio dieci anni dopo il naufragio della Costa Concordia?
Il naufragio della Costa Concordia è stato un pezzo di vita di questo paese che mi ha colpito e a cui sono spesso tornato leggendo, facendo ricerche, guardando film. Sono della provincia di Novara quindi sono un velista di pianura, mi piace andare per mare, è sempre stata per me una grande domanda come abbia potuto prendere uno scoglio. Tecnicamente è una cosa che mi ha sempre lasciato basito.
Mano a mano che passava il tempo però mi interessava sempre meno l’evento tragico e sempre di più le 1200 persone che vivono su quell’isola che è lì da millenni nel Mar Mediterraneo e che in una notte si sono visti arrivare addosso una nave, i suoi passeggeri e tutto il mondo che è andato lì a raccontare quello che era successo. Come l’hanno vissuta questa cosa? Delle storie che io racconto non mi interessa tanto l’intreccio quanto quasi sempre di più l’aspetto umano, allora mi sono detto quello deve essere un grande laboratorio per studiare l’animo umano e ho deciso di raccontarlo.
Diversi mesi dopo il naufragio sono andata anch’io sull’isola per lavoro e mi ricordo che era molto difficile intervistare gli abitanti del Giglio, erano molto diffidenti e infastiditi dai giornalisti. Come hai fatto a fare breccia nel cuore degli isolani e fargli raccontare le loro storie?
Le ragioni sono due, la prima è che era passato molto tempo, erano passati 10 anni e loro hanno avuto il tempo di metabolizzare. La nave è stata portata via, tutto si è risolto nel migliore dei modi. Non c’è stato inquinamento, la nave è stata smontata anche se resta il lutto dei 33 morti, diventati poi 35 contando le due persone morte durante i lavori. Questa è la chiave: il tempo che è trascorso tra l’evento e quando sono andato a incontrarli.
La seconda ragione è che io non sono un giornalista. Io faccio l’autore nella vita e quindi ho cercato di spiegargli con molto garbo che io non volevo tornare a parlare di Schettino, del gossip, ma volevo sapere da loro come era cambiata la loro vita dopo questo evento traumatico. Le interviste sono state fatte nel giardino dell’albergo dove eravamo, a casa loro, su un gommone e sono sempre state in grandissimo ascolto.
Io avevo delle domande che partivano sempre da “Dov’eri quella notte” ma poi le chiacchiere andavano veramente dove loro preferivano e dove volevano. Questa cosa è stata compresa, alla fine della settimana tutti loro hanno ammesso che l’attenzione e l’accortezza con cui siamo entrati nella loro isola e nella loro vita è stata encomiabile e nessuno di loro ha avuto difficoltà con noi. Credo che molti di loro abbiano avuto il rifiuto di alcuni approcci giornalistici. Uno di loro mi ha raccontato che la situazione era diventata così assurda che non potevi correre a prendere il traghetto senza che ti seguissero in quattro con il microfono perchè pensavano che fosse successo qualcosa da raccontare. Pensa cosa vuol dire per gli isolani che sono abituati a rimanere per sei mesi l’anno in 800 su un’isola in mezzo al mare, vivere due anni e mezzo in quelle condizioni.
Delle storie che io racconto non mi interessa tanto l’intreccio quanto quasi sempre di più l’aspetto umano
Quante storie hai raccolto? Com’è cambiata la vita degli isolani dopo il naufragio?
Le voci che ho sentito sono quasi una trentina e vanno dal sindaco alla proprietaria del ristorante già al porto, dal comandante dei vigili alla coppia che si è conosciuta durante il naufragio e qui già rispondo alla tua seconda domanda. Lui del Giglio, lei di Grosseto per via della nave, cercando informazioni sui social network si sono conosciuti, si sono sposati e ora hanno un figlio. Non è l’unico caso.
A moltissime persone la vita è cambiata anche da un punto di vista pratico e da un punto di vista sentimentale. Per esempio Matteo è un ragazzo che adesso fa l’ormeggiatore e all’epoca non lavorava, aveva 22 anni, ha cominciato a lavorare sui gozzi che portavo gli operai a lavorare sulla piattaforma che avevano costruito lì accanto. Facendo quel lavoro ha poi avuto un contratto con il Porto del Giglio. Ma è bella anche la storia dell’assessore che ha salvato la vita di una coppia di russi che lui ha raccolto con una scialuppa di salvataggio, è stato poi invitato in Russia dove gli hanno consegnato la medaglia d’oro civile. Una donna che già conosceva ha letto la notizia, ha visto la foto, lo ha contattato, ora sono sposati e vivono insieme.
Tra tutte le parole che hai ascoltato, c’è una frase che ti ha commosso?
Sono tantissime. C’è la storia di Caterina che ha accolto 40 persone in casa sua. Lei è una gigliese che ha una casa mediamente grande con tre-quattro stanze e poi ha dei Bed and Breakfast che affitta. Quella sera sente dei suoni strani che lei pensa sia il microonde che è impazzito. In realtà si affaccia e come tutti vede la nave lì a due passi e tutti capiscono che è troppo vicina, illuminata in maniera strana, con le luci di emergenza. Subito va al porto e quando inizia ad arrivare la gente, le famiglie con i bambini dice: mandatemeli a casa.
Arrivano tante famiglie, lei accende il fuoco, mette a disposizione la cucina. Spagnoli, tedeschi, sardi, austriaci. A un certo punto quando ha la casa piena di gente, con le persone sedute anche sulle scale esce e dice al marito: “Franco basta non ci entra più nessuno!”. In quel momento arriva il marito che tiene in braccio un bambino di sei mesi. Lei è molto cattolica, spesso sulle isole è così sono molto religiosi. E lei commuovendosi dice “Io quando ho visto questo bambino ho pensato mi stanno portando Gesù bambino”.
Èuna cosa che anche ripensandoci adesso mi smuove dentro delle cose. Una puntata del podcast è tutta dedicata a lei e si intitola proprio così: “Mi stanno portando Gesù bambino”. Un’altra frase bellissima che mi ha detto l’ex guardiano del faro quando gli dicevo che tutto il mondo è stato stupefatto da come gli abitanti del Giglio hanno reagito, è stata: “Tutti quanti facciamo ‘aiuto’ di secondo nome” cioè tutti quanti se sentiamo “aiuto!” ci giriamo e questo direi racconta molto di come i gioissi hanno reagito alla tragedia.
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