La definizione “mutamenti sociali” non è mai stata più appropriata, oggi che siamo costretti a periodi di isolamento, al “distanziamento sociale”, a stare ognuno per conto nostro a vedere film e spettacoli online, al riparo dietro lo schermo dei nostri dispositivi, condizione che rimarrà purtroppo probabilmente incisa nelle consuetudini dei comportamenti, individuali e collettivi. Basta infatti guardarsi indietro, andando a ritroso di pochi decenni, per constatare quanto eravamo diversi e quanto i nostri modi di vivere siano mutati.
Lo descrive bene il documentario dell’artista e regista romana Rä di Martino, Fuori dai teatri, nel quale il teatro diventa una cartina di tornasole per comprendere una società, che nel periodo descritto – la fine degli anni ’60 del secolo scorso e gli anni ’70 – aveva invece come parole d’ordine socializzare, aprirsi, esprimersi, comunicare, cercare un contatto fisico e trovare un senso dalle interazioni con gli altri.
Il documentario ripercorre la nascita, nel 1974, del Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale di Pontedera: un’esperienza che ha proiettato la piccola cittadina toscana, della provincia di Pisa, in una dimensione internazionale, in osmosi con esperienze e correnti di teatro d’avanguardia che scorrevano sotterranee tra Stati Uniti, Europa e Italia.
“Mi chiamo Dario e sono il più anziano del gruppo. Nel 1968, insieme ad altri compagni, abbiamo chiesto una stanza al Comune e abbiamo iniziato così a lavorare con il metodo teatrale di Stanislawski”. Queste le parole di una delle prime testimonianze nel documentario Fuori dai teatri, realizzata in bianco e nero, pronunciate da uno dei fondatori di quello che, all’inizio, era stato chiamato il “Piccolo teatro di Pontedera”, il primo nucleo di quello che poi sarebbe divantato il Centro di sperimentazione e ricerca di Pontedera.
Siamo negli anni delle contestazioni giovanili, delle proteste di piazza di studenti e operai, degli scontri violenti e anche della strategia della tensione. Si protestava contro le guerre, per una società più giusta e equa, si inseguivano utopie politiche, si lottava per il Femminismo. In Europa era arrivata l’onda lunga delle proteste americane contro la guerra in Vietnam, con la nascita dei movimenti pacifisti. Scardinare modelli e sistemi politici era anche compito degli artisti, e anche nel teatro alcune esperienze andarono a rivoluzionare tutto: l’idea di palcoscenico, di recitazione, di pubblico. Uno dei principali punti riferimento del periodo era l’esperienza americana del Living Theatre – attiva dal secondo dopoguerra, ma che era approdata, in una sorta di “nomadismo” artistico, in Europa proprio alle fine degli anni ’60 – insieme al teatro di Bob Wilson. Negli stessi anni in Europa nascevano alcuni laboratori teatrali altrettanto rivoluzionari e dirompenti, come il teatro di Jerzy Grotowski in Polonia, di Eugenio Barba in Danimaca, fondatore dell’Odin Teatret e qualche anno dopo il TanzTheater di Pina Bausch.
Cosa c’entrava Pontedera in tutto questo? C’entrava molto, eccome. Perché è proprio a questi esempi “rivoluzionari” che nella cittadina operaia di Pontedera alcune persone iniziarono ad ispirarsi: un imprenditore, un artigiano, altri impiegati, operai e persone comuni. Con la fondazione, nel 74, del Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale, la vita culturale di Pontedera era esplosa: si susseguivano rappresentazioni e il confronto con i protagonisti della scena teatrale, che proprio nella città pisana venivano inviati, come Dario Fo, Bob Wilson e lo stesso regista polacco, che a Pontederà metterà poi radici, fondando, nel 1986, il Workcenter of Jerzy Grotowski.
“Il teatro era nelle strade, nei manicomi, nelle carceri, è li che sono nate esperienze teatrali che poi sono diventate molto importanti”, racconta un’altra testimonianza del documentario. Gesti, danze, acrobazie, performance, vocalizzi e canti, improvvisazione e disciplina, interazione con le persone, nelle vie e nelle piazze, dove i palazzi e le strade diventavano una scenografia naturale: il teatro era tutto questo negli anni ’70. Ci si relazionava con il pubblico in un modo del tutto nuovo, chiamandolo ad essere parte della stessa rappresentazione, e non più fruitore inerme. Gli spettacoli teatrali erano riti collettivi e partecipativi, happening dei quali il pubblico era chiamato ad essere protagonista. Esperienze che hanno segnato profondamente la vita culturale italiana e la nascita di nuovi gruppi delle avanguardie teatrali che arrivarono in seguito, dalla fine degli anni ’70 in poi, tra cui i Magazzini Criminali, Falso Movimento, La Gaia scienza, solo per citarne alcuni. Poi, nel 1999, il Centro di sperimentazione e ricerca teatrale è diventato Fondazione Pontedera Teatro, ente che ha contribuito alla nascita del Teatro della Toscana.
Nel film le narrazioni sono quelle dei protagonisti e fondatori del Centro di Pontedera, Carla Pollastrelli, Roberto Bacci e Luca Dini, voci reinterpretate dagli attori Lino Musella e Anna Bellato con la tecnica verbatim, che consiste nel recitare live le parole delle interviste, mentre vengono ascoltate con degli auricolari. Le testimonianze di oggi si alternano a immagini di repertorio in bianco e nero, degli spettacoli e dei training attoriali.
Il documentario Fuori dai teatri, dell’artista che ha esposto nei principali musei e gallerie del mondo e che ha presentato film ai festival internazionali, come quelli di Venezia e Lorarno, Rä di Martino, sarà proiettato sabato 13 novembre, al cinema La Compagnia di Firenze (ore 21.00), presentato da Lo Schermo dell’Arte Film Festival, alla presenza degli attori Anna Bellato e Lino Musella. Info: www.schermodellarte.org