Dal 28 ottobre al 12 dicembre 2021 Fondazione Palazzo Strozzi presenta Alter Eva. Natura Potere Corpo, una mostra che attraverso le opere di sei artiste italiane nate tra gli anni ’80 e ’90 innesca una riflessione sul futuro fondato su nuovi principi di coabitazione naturale e sociale.
Il progetto si inserisce all’interno di “Palazzo Strozzi Future Art” il nuovo programma inaugurato con l’installazione La Ferita di JR per la facciata di Palazzo Strozzi, nato dalla collaborazione con Andy Bianchedi in memoria di Hillary Merkus Recordati.
La mostra non vede solo sei artiste donne ma anche il lavoro di sei curatrici grazie alla collaborazione con il Master in Curatorial Practice dello IED Firenze (Francesca Bonissone, Elena Castiglioni, Nora Criado Diaz, Yanru Li, Thea Moussa, Linda Toivio) coordinata da Martino Margheri e Daria Filardo.
L’esposizione propone una narrazione sfaccettata con sculture, pitture, fotografie e installazioni che parlano di un nuovo rapporto con la natura, di corpi esibiti o raccontati e forti dichiarazioni politiche che dialogano con storie intime e personali di appartenenza culturale.
Tutte le opere sono accomunate da un impegno rivolto al cambiamento per una trasformazione del nostro modo di osservare, parlare e agire nel mondo.
Mettendo in discussione i ruoli di genere, l’antagonismo tra natura ed essere umano, i ruoli restrittivi e le relazioni di potere, alla ricerca di un futuro alternativo, migliore di quello in cui noi tutti siamo nati.
Le artiste e le loro opere
In mostra alla Strozzina i disegni di animali “totemici” e paesaggi esotici realizzati su carta carbone da Marta Roberti, le sculture di Camilla Alberti realizzate con frammenti organici e scarti industriali.
Le interviste di Martina Melilli sul tema del corpo femminile da lei pubblicate sulla rivista che celebra il corpo per eccellenza: Playboy. La scritta al neon di Margherita Moscardini che riprende una frase di Hanna Arendt contenuta nel libro “Le origini del totalitarismo”.
I video e le foto di Silvia Rosi che ricrea nei suoi scatti fotografie prese dall’album di famiglia, re-interpretando la vita dei suoi genitori emigrati dal Togo. Un transfer emotivo in cui si fonde storia personale e storie collettive di tante famiglie costrette al lasciare il loro paese.
I calchi e le fotografie di Irene Coppola che ci ricordano la deperibilità e la finitezza dei corpi in confronto con la potenza generatrice della natura.