“Buonisti un cazzo”. È questo il titolo del suo libro precedente, che già la dice lunga su ciò che di lì a breve sarebbe accaduto con quello che, pur senza apparenti evidenze, potrebbe essere considerato una sorta di sequel. (A beneficio del lettore reale e potenziale diciamo che non serve leggere prima l’uno e poi l’altro, anche se, ne siamo quasi certi, l’autore apprezzerebbe). Lui è Luca Bottura e il libro in questione è “Manifesto del Partito Impopolare”. E sì, s’ispira a Marx, cui ha reso omaggio proponendo il suo volto in copertina (impresso però su scatolette rosse, forse di tonno o di sardine). “Uno spettro si aggira per l’Italia: la borghesia”. È quel che si legge nella prima riga del libro, che poi prendere tutt’altre direzioni.
Arguzia e tecnica
Fatto sta che all’Internet Festival di Pisa capita d’incontrare un bolognese come Bottura, che a dispetto di quanto possa apparire nulla ha a che fare col cognonimo chef stellato. Luca gode di vita (e fama) del tutto autonoma. È prima di tutto uno scrittore. Un mestiere che nel suo caso si declina in ambiti, linguaggi e stili differenti. Quel che accomuna il suo lavoro è senz’altro l’arguzia, che in lui trova massima espressione grazie a una tecnica straordinaria. L’approccio, da qualsiasi parte s’inizino a leggere i suoi scritti, è decisamente satirico. “Anche il libro è così. Faccio un po’ il cretino, ma dico anche cose serie” racconta Bottura.
“Amo scrivere per me, ma anche per gli altri”
Far ridere per interposta persona
“Sì, lo ammetto: mi piace scrivere. Un desiderio che avevo fin da bambino” racconta nell’affollata sala del Royal Victoria Hotel, sul lungarno. “Amo scrivere per me, ma anche per gli altri”. Gli altri sono praticamente tutti: da Adriano Celentano a Maurizio Crozza, da Gene Gnocchi a Enrico Bertolino fino a Geppi Cucciari, che oltre a collaborare da anni con Bottura (al momento sono in onda su Rai3 con la trasmissione “Che succ3de?”) è stata anche la sua testimone di nozze. L’amicizia, nell’ambito delle collaborazione professionali, è qualcosa che può capitare. “In effetti mi diverte molto anche il lavoro con cui di fatto campo la famiglia, ovvero quello dell’autore televisivo. Mi dà molta soddisfazione, anche perché cercare di aderire alla personalità artistica di coloro con cui collaboro è fonte di grande gratificazione. Io in tv? Capitata raramente, non voglio apparire. Non sono capace di farla, la televisione. Ma scrivere sì, quello mi piace”.
Commedia all’italiana
“È il manifesto di un partito che ovviamente non c’è. Un partito di quelli che si sentono impopolari, un po’ come me”
È probabile che la vena satirica, a Luca Bottura, sia sempre appartenuta. A partire dal settimanale “Cuore”, dove ha iniziato la sia carriera. Infatti “Manifesto del Partito Impopolare” fa ridere, certo. Ma crea anche livore e a volte sfocia perfino in accenti drammatici, come fossimo in una commedia all’italiana. Le battute sono ovunque, a ogni riga. Tra amarezze varie, sorrisi in quantità e un po’ di rabbia sparsa, ecco che poi s’intravede anche l’arcobaleno della speranza. “È un libro che serve a cercare sodali” ci dice. “Non a caso è il manifesto di un partito che ovviamente non c’è. Un partito di quelli che si sentono impopolari, un po’ come me. Forse perché diciamo cose che non interessano più a nessuno. Dal pretesto di Marx si arriva al programma di governo, che di fatto è la Costituzione”. Ovviamente commentata in punta di penna (o di punteruolo).
Come una terapia
Il libro è stato scritto durante il lockdown. “Ho iniziato a settembre di un anno fa, a febbraio era già finito. Poi è caduto il governo Conte e a quel punto ho pensato che avrei dovuto riscriverlo tutto o in parte. E invece no, rileggendolo andava bene così. Anche perché con l’avvento di Draghi non è cambiato nulla” racconta Bottura, che parla della sua scrittura come una personale terapia. “Ho avuto la grande fortuna di avere una editor fantastica” aggiunge. E per un momento si fa davvero serio. “È Rosella Postorino, vincitrice del premio Campiello con ‘Le assaggiatrici’. Vi consiglio di leggere tutti i suoi libri” dice con sincera gratitudine. “È intervenuta poco sui testi. Paradossalmente mi ha chiesto di effettuare più modifiche l’avvocato di Einaudi. Alla fine Rosella mi ha detto che il libro le era piaciuto molto, poi ha aggiunto: ‘Ma quanto eri incazzato?’. Ecco, in effetti cerco di filtrare attraverso sberleffi, sghignazzi e battute il fatto che mi arrabbio spesso e volentieri. Per questo scrivere è davvero come una terapia“.
Le battute spiegate ai grillini
“In sala c’è qualcuno che ha votato i Cinquestelle?” domanda Bottura al pubblico dell’Internet Festival. Segue il silenzio. “Strano, nessuno alza mai la mano. Nel caso, vi dico che durante questa conversazione farò delle battute. Poi semmai ve le spiego”. E giù risate. Ma anche il libro è così, qui non si risparmia niente e nessuno. Anzi, quasi nessuno. Perché tra i pochi politici a essere salvati ci sono Romano Prodi (“Il migliore”) e Laura Boldrini (“La più odiata di tutti, perché gli uomini italiani non possono sopportare una donna con il potere”). Poi ce n’è per tutti: dalla Lega a Forza Nuova, da Italia Viva al Pd passando per il Movimento 5 stelle. E proprio a loro è dedicato il capitolo dal titolo “Al lettore grillino”, che è tutto scritto con verbi all’infinito. Per farvi capire meglio, ecco l’incipit: “Questo essere libro. Libro essere oggetto composto da fogli di carta già scritti da qualcun altro. Qualcun altro essere nome che tu trovare in copertina. No, non Manifesto. Quello essere titolo. L’altro”.
Il pantheon della speranza
Bottura parla di sé, del suo “sentirsi solo”, dei trascorsi con Paolo Beldì e degli incontri con Cesare Cadeo. Ecco, di loro parla bene. Straordinariamente bene. Come fosse un preludio al pantheon del Partito Impopolare, che ci regala quel po’ di speranza di cui abbiamo parlato in premessa. Persone che, a differenza delle altre descritte o apostrofate nelle pagine precedenti, per l’autore sono meritevoli di tale collocazione. Se chiedessimo a Bottura chi butterebbe giù dalla torre, loro si salverebbero tutti. A cominciare da Dan Aykroyd, Giorgio Ambrosoli, Renzo Arbore, Tina Anselmi e sua zia Anna. “Questi nomi sono per un punto di riferimento” spiega Bottura. “Sono arrivato a stilare una lista di settantacinque persone. Poi le ho contate e mi sono accorto che le donne erano solo il venticinque percento. Allora mi sono messo lì a pensare e ne ho aggiunte di nuove. Non per le quote rosa, ma perché penso che per uno come me, un maschio italiano di cinquantaquattro anni, ci sia la necessità di fare quel passaggio che spero avvenga automaticamente alle generazioni più giovani. Finché per noi non sarà normale, dovremo sforzarci di fare quel passaggio”.
La scevà
Un po’ di pessimismo, in tal senso, lo si coglie nella battuta in cui, riferendosi al Pd, Bottura scrive (testualmente): “… tolta la Serracchiani, che in quanto donna non avrebbe mai potuto aspirare per davvero alla segreteria, se ne riparla nel 2095”. E allora non resta che iniziare il conto alla rovescia. Nel frattempo potremmo dilettarci nella lettura del discorso d’insediamento del Partito Impopolare, che avverrà tra quattro anni. E in quel discorso non ci saranno un lui o una lei, ma Tiziə Caiə, segretariə del partito e presidente del Consiglio dal 18 settembre 2025. Proprio così, con la “scevà”, ovvero la “e” rovesciata. “Anche fossi fluido, va bene uguale” scrive Bottura. “Mi sembra una buona partenza”.