Da bambina odiava il pecorino e non riusciva a mangiarlo. Oggi Angela Saba non solo è un’imprenditrice agricola apprezzata per i suoi formaggi prodotti a Massa Marittima ma è pure responsabile del Presidio Slow Food del Pecorino a latte crudo della Maremma. La settimana scorsa a Cheese, la rassegna internazionale di settore organizzata a Bra da Slow Food e dal Comune ha vinto il premio per la resistenza casearia intitolato alla memoria di Agitu Ideo Gudeta, la contadina e imprenditrice agricola di origini etiopi assassinata nel dicembre scorso. Slow Food le ha riconosciuto il ruolo svolto nel conservare saperi e tradizioni della sua terra. Nella motivazione viene definita “un esempio e un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono intraprendere la strada, bella e difficile, dell’allevamento e della produzione di formaggio. Una strada particolarmente difficile per le donne e per chi vuole produrre cibi sani, buoni e in armonia con la terra”. Un riconoscimento che l’ha commossa fino alle lacrime. “Mi sono venuti a prendere per mano per portarmi sul palco -racconta la produttrice ancora con un pizzico di emozione – . E’ la conferma che quello che faccio ha un valore, un riconoscimento alla persona e non al prodotto. Tra l’altro io non partecipo mai ai concorsi, non mi interessa. Le mie medaglie sono le persone che tornano e mi fanno sorridere, che si commuovono o mi dicono che con i miei formaggi sembra loro di tornare indietro nel tempo“.
Per Angela la dimensione agreste è quella che lei chiama “la vita vera“. Il padre era un pastore sardo, la mamma è abruzzese. E’ cresciuta a Massa Marittima, dove i suoi genitori rilevarono un’azienda dopo aver lasciato Logudoro. La repulsione iniziale per i formaggi, dovuta al duro lavoro nei campi a cui il padre aveva avviato lei e i suoi fratelli e le sue sorelle, è stata superata con il tempo quando ha iniziato lei stessa a fare i formaggi. Non si è fermata solo alla tradizione di famiglia, ma ha studiato all’Università di Pisa con cui collabora ancora oggi. In azienda con il fratello Antonio porta avanti un allevamento di 300 pecore e 20 capre e la sua è una produzione casearia d’eccellenza certificata da Slow Food fin dal 2016.
E’ nota per essere la signora del latte crudo in Maremma ma anche per le posizioni integraliste. Come mai?
“Tutto è cominciato nel 2016 quando il presidente Slow Food Biodiversità Piero Sardo durante una riunione di tutti i produttori mi invitò a essere meno integralista. Avevano predisposto un disciplinare per la produzione dei formaggi e io e una mia collega eravamo scandalizzate dalle maglie larghe del regolamento e ci lamentavamo. Io non uso fermenti esterni. Il mio è un atteggiamento rigoroso ma non è detto che gli altri debbano fare le stesse scelte. Non accetto chi dichiara che un formaggio è a latte crudo quando poi magari è pastorizzato. Credo che ci vogliano sempre chiarezza e coerenza”.
Come vengono prodotti i suoi formaggi?
“Riverso la mia natura nei formaggi che produco. Sono prodotti che rispondono al nome di Frescolino, Angelico e Sant’Antonio e sono formaggi particolari nel nome e nella consistenza. Sono prodotti in una maniera che io definisco ancestrale. Con il latte a crudo è come se fossi a pascolare con il mio gregge, senti quello che mangiano le pecore. Da una parte c’è un rimando alla tradizione, dall’altra all’innovazione: in questo senso si inserisce la collaborazione con le università di Parma e Pisa. Così Frescolino è un formaggio dal gusto fresco e lino è un chiaro riferimento all’alimento che do ai miei animali, Angelico è di media stagionatura: dolce con grinta un po’ come me mentre il Sant’Antonio è più stagionato e ha il nome di mio fratello maggiore. Azul invece è un omaggio a Frida Khalo di cui sono una grande estimatrice. Il Gregoriano è dedicato al parroco del paese, don Gregorio. Io dono la mia ricotta alla Caritas per le famiglie bisognose e lui mi regala il peperoncino coltivato dai detenuti del carcere di Massa Marittima in riabilitazione. Ogni nome scelto per i miei formaggi ha un che di familiare e deve rispecchiare un po’ la mia vita“.
Cos’è oggi per lei la resistenza casearia?
“Resistere alle tentazioni della GDO. E’ un canale di vendita che non mi appartiene e non mi interessa. Piuttosto preferisco la vendita diretta in azienda. Invece di fare i mercatini, poi, partecipo a quelle manifestazioni di piazza che valorizzano il territorio, promuovono prodotti buoni e genuini e soprattutto una visione etica del lavoro“.