La voce di Sara Battaglini saluterà l’estate mercoledì 22 settembre al Forte Belvedere con un concerto gratuito al tramonto.In quell’occasione presenterà “Vernal Love”il suo nuovo progetto musicale. Un progetto che si esprime attraverso un delicato tessuto acustico ed elettronico. Le sue canzoni avvolte in un intimo magma denso e colorato, rimangono sospese tra leggerezza e amarezza, in equilibrio tra ciò che nella fragilità umana è sognante e assurdo.
Il suo disco è dedicato al concetto dell’assenza intesa non solo come distanza e mancanza ma come stato, come “casa”, o meglio una bolla nella quale ci sentiamo protetti e imprigionati allo stesso tempo.
Dopo il primo disco “Dalia” con una formazione in trio Sara Battaglini ha composto e arrangiato il nuovo lavoro “Vernal Love” per una formazione allargata di sei musicisti tutti toscani dove oltre alla ritmica composta da Simone Graziano, Francesco Ponticelli e Bernardo Guerra, intreccia alla sua voce la timbrica di due fiati, il sax baritono e clarinetto basso di Beppe Scardino e la tromba e flicorno di Jacopo Fagioli.
Ecco la nostra intervista
Ciao Sara! Com’è nato il tuo ultimo disco “Vernal Love”?
L’unico aspetto positivo del Covid è che ci ha lasciato tanto tempo libero. Così io durante il periodo di lockdown ho avuto molto più tempo per finire di scrivere e arrangiare il disco. Quest’anno lo abbiamo registrato e prodotto. A cose normali sarebbe durato tutto molto di più, è stato tutto concentrato avendo tutti più libertà.
La formazione che ti accompagna è composta da sei musicisti tutti toscani, come li hai scelti?
Alcuni sono amici di vecchia data, ci conosciamo da tanto. Io ho scritto per loro, avevo in mente un suono preciso, quindi avevo già un’idea della formazione. La scelta dei musicisti è stata in base ai loro suoni e alle loro peculiarità, al di là dell’affetto. Io credo molto che serva sempre un’affinità umana altrimenti è difficile lavorare insieme e costruire insieme qualcosa.
Qual è il tema, il filo conduttore di Vernal Love?
Faccio sempre un po’ fatica a raccontarlo perchè quando scrivo vado molto a fondo, spiegarlo a parole è difficile. Il disco è un omaggio, un inno al concetto di “assenza” che per me non è assolutamente una cosa negativa. Come parola, come significato al primo impatto può sembrare qualcosa di brutto ma in realtà per la mia esperienza è un luogo che rimane sospeso, una zona staccata dalla realtà, che ci porta lontani ma ci permette di unirci molto di più a noi stessi e ci avvicina a tipologie di contatto umano che altrimenti nel caos e nella confusione dell’esterno si farebbe fatica a realizzare. Per me è un luogo silenzioso, luminoso, una bolla di sospensione.
Ti capita mai di soffrire di solitudine che invece è l’altra faccia dell’assenza?
Ovviamente è un’arma a doppio taglio. Nel disco non c’è dolore, c’è un po’ di amarezza. Quello che dici è vero, l’assenza può trasformarsi anche in solitudine, ma nel disco c’è equilibrio tra amarezza, amore e senso di protezione che per me porta quello spazio.
Come hai iniziato a fare musica?
Io non conosco tanti musicisti che hanno avuto un percorso come me perchè in casa mia non c’è mai stata neanche una radio, non ho una famiglia di cultori della musica o anche solo di appassionati. Il mio amore per la musica è nato dal niente, mi sono resa conto che era qualcosa che volevo inseguire, è stata poi una catena di eventi. Ho iniziato con un percorso jazz ma credo molto nella trasversalità della musica. Ho studiato prima a Firenze e poi sono andata a Bologna.
Vernal Love come lo definiresti?
Faccio fatica a definirlo, sicuramente c’è tanto dell’influenza jazz, però poi sono molto influenzata anche da altre sonorità più lontane come Bon Over, Bjork e anche i Pink Floyd. Sono tutti artisti che per me sono molto importanti.