I gesti contano, eccome se contano. E ieri sul campo di Wembley di gesti se ne sono visti molti, alcuni belli, bellissimi, altri decisamente meno. I gesti atletici, la forza del coraggio, la corsa a perdifiato per rimontare quel goal degli inglesi arrivato troppo presto.
Le braccia di Mancini che si agitavano nell’aria tormentata, tra pioggia incessante e giocatori che non avevano saputo trovare inizialmente quell’alchimia, quella sintonia, quell’aggressività sportiva che serve per acchiappare i risultati e – qualche volta – i sogni.
Quella magia che si crea quando davanti si ha un obiettivo comune, quando tutti si rema dalla stessa parte, quando si mette all’angolo il protagonismo personale e conta solo la somma del gruppo. Quella magia che diventa concreta in un passaggio, uno sguardo d’intesa, una mischia in area, un goal. Il pareggio.
I gesti della rimonta sono fotografie che rimangono impresse nella memoria
I gesti della rimonta sono fotografie che rimangono impresse nella memoria. Le esultanze pure. Ognuno ha la sua, è il linguaggio del corpo che diventa forma e sostanza. La scorsa notte i gesti degli azzurri avevano il colore del nostro Paese: il verde, il bianco, il rosso. E un’unica musica, quella dell’Inno nazionale che sarebbe bello sentire più spesso, non solo nelle competizioni sportive. La musica è ciò che non si vede ma ti tiene comunque unito, crea quel legame trasparente e immortale. Si appoggia sulle corde giuste, le carezza, spinge il cuore a pompare il sangue più veloce. Muove le nostre gambe, le braccia, i pensieri. Ti prende per mano e ti conduce dove non penseresti di arrivare mai.
E nella notte della finale la musica e i gesti hanno portato gli azzurri dove speravano di arrivare. Ad innalzare una coppa lontana da troppo tempo da Roma. Il tempo che sembrava infinito, i supplementari, i rigori, l’agonia di chi deve sempre sudare di più degli altri per raggiungere un risultato. Niente di facile, niente di scontato. Le vittorie che ti ricordi in fondo sono queste. Le vittorie che dentro si portano mille significati.
Quell’abbraccio e quel pianto liberatorio tra Mancini e Vialli tengono insieme quei mille significati. L’amicizia che supera il tempo, il riscatto e la rinascita, la scommessa di investire in quel gruppo di giovani che hanno saputo trovare il coraggio della rimonta e della vittoria.
Cosa c’è dentro la testa di un calciatore quando tira un rigore? E’ l’incognita del secondo dopo
Cosa c’è dentro la testa di un calciatore quando tira un rigore? Cosa gira nei pensieri di un portiere quando quel rigore deve provare a pararlo? Basta una frazione di secondo, una rincorsa sbagliata, l’equilibrio che vacilla. Basta buttarsi dalla parte sbagliata, non intuire, non riuscire ad ipnotizzare l’avversario. I secondi scorrono sulla pelle come macigni. Un countdown che potrebbe coglierti pronto o impreparato, senza possibilità d’appello. E’ l’incognita del secondo dopo.
E invece tutto è andato come doveva andare. Lo ricordano i giocatori, uno ad uno, ponendo l’accento sull’empatia di un gruppo che è tenuto insieme da due compagni su tutti, Vialli e Mancini. Ancora stretti l’uno all’altro, dopo anni, da quando Genova fu la loro casa comune.
E’ il passato che torna a rendere ancor più bello l’oggi, a dargli un senso più profondo. E poi Mattarella che ci ricorda Pertini e quel mondiale dell’82 che tutti portano addosso come un tatuaggio che non si cancella, le giacche della nazionale, così vicine nel colore a quella indossata da Bearzot.
Sono continui richiami al passato e al presente, alle micro-storie che fanno -insieme – la grande Storia dello sport. Ogni calciatore, ogni mister lascia un suo gesto, un suo marchio di fabbrica in campo. E’ stato così anche questa volta, in questa Italia delle meraviglie, quella del collettivo visto in campo, quella di una squadra che si è mossa nella sua completezza d’insieme, con un ritmo incessante, un’orchestra quasi impeccabile.
E’ stata la festa del calcio, la gioia dello sport, oscurata solo dal brutto gesto degli inglesi che si sono tolti, al momento della premiazione, la medaglia del collo. Le mani nervose, il collarino rimosso senza rispetto. L’amarezza deve sempre essere rispettata ma i gesti anti-sportivi, quelli no. Non è togliendo quella medaglia che si rende onore alla propria maglia, che si amplifica la delusione. E’ un gesto non accettabile da parte di nessuno, figuriamoci da professionisti che dovrebbero rappresentare una nazione.
Una nazione fuori dall’Europa e ora fuori dal calcio europeo.
La coppa torna a Roma, là dove deve stare. Dove le medaglie si baciano, non si strappano via.