Sabato 3 luglio 2021 il Battistero di Firenze riaprirà al pubblico e per la prima volta sarà possibile vedere restaurate quattro delle otto pareti interne in marmo bianco e verde di Prato con i mosaici raffiguranti profeti, santi vescovi e cherubini, realizzati fra il primo e il secondo decennio del Trecento. Grazie al restauro risplende liberato dalla polvere superficiale anche il monumento funebre dell’antipapa Giovanni XXIII, opera di Donatello e Michelozzo.
Il restauro delle pareti interne del Battistero iniziato nel 2017 terminerà entro la fine dell’anno, salvo imprevisti. Diretto e finanziato dall’Opera di Santa Maria del Fiore è costato circa 2 milioni di euro, ed è stato portato avanti sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, e la collaborazione per le indagini diagnostiche con Università italiane e laboratori specialistici.
Il mistero dell’abside
L‘abside del Battistero, costruita nel 1202, a pianta rettangolare, del tipo definito a “scarsella”, sostituì una più antica abside semicircolare, di cui rimangono le fondamenta. E proprio ai mosaici della scarsella è legato un enigma a cui nessuno è riuscito fino a oggi a dare risposta: qui un’iscrizione in latino afferma che i lavori iniziarono il 12 maggio 1225, e che vi operò Jacopo frater sancti francisci.
“A partire dal Vasari e fino all’Ottocento, spiega Annamaria Giusti, consulente storico artistico per il restauro dei mosaici – si è creduto che l’iscrizione alludesse a Iacopo Torriti, celebre pittore e mosaicista, attivo a Assisi e Roma mezzo secolo dopo. E’ verosimile piuttosto che l’iscrizione sia stata aggiunta ai mosaici della scarsella in epoca successiva alla loro realizzazione, come fa pensare anche la citazione di San Francesco, che fu dichiarato santo solo tre anni dopo, nel 1228”.
Il restauro
Il restauro del Battistero si è rivelato fin da subito molto complesso perché ha dovuto operare su tre piani: l’architettura, la struttura e la decorazione a mosaico. La campagna di studi e d’indagini diagnostiche, mai eseguita prima d’ora in maniera così approfondita sull’intero monumento, e il restauro dei primi quattro lati hanno portato a numerose scoperte, tra le quali: la tecnica musiva assolutamente originale impiegata nei mosaici parietali, un vero e proprio unicum, tracce di foglia d’oro su uno dei capitelli dei matronei, che potrebbe essere la prova che in origine fossero tutti dorati.
Adesso è la volta delle indagini diagnostiche sulle quattro pareti ancora da restaurare di cui sappiamo che i mosaici sono stati oggetto di precedenti interventi tra la fine dell’Ottocento e il Novecento. “È importante approfondire – spiega Beatrice Agostini progettista e direttore dei lavori di restauro dell’Opera di Santa Maria del Fiore – gli effetti di questi restauri del passato, così da poter definire il reale stato di conservazione e individuare la metodologia più idonea d’intervento. L’analisi dei precedenti restauri contribuirà, inoltre, a conoscere il comportamento dei prodotti utilizzati in passato e come questi abbiano reso nel corso del tempo. Dal punto di vista estetico, per esempio, abbiamo riscontrato che per integrare parti perdute o danneggiate, furono impiegate delle tessere dorate speciali, a oggi molto deteriorate”.
L’ultima fase del restauro nei prossimi anni interesserà i mosaici della cupola.