Una fotografia a tinte molto scure quella che emerge dal rapporto Irpet, l’Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana, dal titolo “La Toscana un anno dopo l’Epidemia – Bilancio e prospettive”, per l’economia regionale.
Il report trasforma in punti percentuali la sofferenza di negozianti, ristoratori, impresari alle prese da più di un anno con una crisi senza precedenti, acuita rispetto a quella nazionale, che non ha risparmiato nessun settore: dal manifatturiero ai servizi.
- -12 punti percentuali di Pil
- -15 punti percentuali di produzione industriale
- -12 punti percentuali di fatturato dei servizi
È questo il bilancio per la nostra regione confermato anche dalla Banca d’Italia.
Nel 2020 la Toscana ha risentito più che il resto del Paese della crisi pandemica poiché maggiormente specializzata in beni durevoli, che, a loro volta, hanno risentito di più della mancata spesa estera . Le ferite aperte nel corso del 2019 e in questi primi mesi del 2020 faticano a rimarginarsi.
Barcollo ma non mollo. Ecco potremmo riassumerò così la situazione della nostra regione. “Non siamo moribondi” ha detto infatti Luca Giusti, presidente di Confartigianato Toscana.
La crisi regionale ha ragioni che le derivano da quello che è sempre stato il punto di forza della regione stessa: un’economia basata sul modello della piccola media impresa, con distretti altamente specializzati. Un modello che aveva faticato a riprendersi con slancio anche dalla crisi del 2008 e che si prevede farà altrettanta fatica anche quando e qualora questa emergenza sanitaria rimetterà in moto il fatturato.
Quella della Toscana sarà infatti una crescita che si stima di 3 punti percentuali del Pil nel 2021 e di 3,6 nel 2022.
La crisi del turismo delle città d’arte e del made in Italy hanno accentuato la situazione regionale che per riprendersi dovrà trovare nuova linfa scommettendo anche su un nuovo modello di business che punti anche ad eliminare le disuguaglianze che la crisi in atto ha accentuato.
Stando al report di Irpet infatti se grazie ai congelamenti, alla cassa integrazione, sono stati scongiurati circa 33 mila licenziamenti, è pur vero che si è drasticamente ridotta la possibilità di trasformare un contratto da determinato in indeterminato, così come la possibilità di trovarsi occupati dopo un contratto a termine.
A rimetterci sono stati soprattutto i giovani, le donne, in particolare le donne straniere. Se questa è la fascia della popolazione maggiormente colpita dagli effetti economici della pandemia, è pur vero tuttavia che addirittura il 21% della popolazione toscana è scesa di reddito ed è scesa nell’ordinamento sociale. I ricchi sono un po’ meno ricchi, i poveri un po’ poveri.
Se ad essere colpiti sono stati in particolare la moda e l’economia del tempo libero (dalla ricettività alla ristorazione alle attività ricreative), hanno invece tenuto agroalimentare, farmaceutico e attività legate all’uso dell’informatica.
Prato, la città più colpita
È quanto emerge da una ricerca Irpet, ancora in fase di sviluppo. Prato, storicamente finestra sul mondo per le nostre produzioni, vive una situazione di grande sofferenza. L’indice della produzione industriale a livello regionale segna un -14 per cento (a fronte del -11 a livello nazionale) ma Prato tocca il -23,2, confermando una “crisi progressiva negli ultimi dieci, dodici anni”. Un vero dramma se si considera che è storicamente traino dell’economia toscana ed è una crisi che si protrae da tempo. Nei 14 anni presi a riferimento (dal 2004 al 2018), per fare degli esempi, la filatura registra -61 per cento, la tessitura -53 per cento, il finissaggio -40, altre industrie tessili -34.
Ripartire dagli strumenti offerti dalla tecnologia
Poiché sono le imprese più piccole quelle più vulnerabili, quelle che non si rivolgono ai mercati internazionali e a più bassa produttività è da loro che sarà necessario ripartire.
La Toscana dovrà essere pronta a mettere in discussione quel modello che ne ha fatto la fortuna negli anni 80’/’90 basato sul network di piccole imprese che oggi negli strumenti tecnologici potrebbero trovare una via di rinascita.. Dovranno quindi essere trovate misure di intervento tarate sulle reali necessità delle imprese.
Tra queste misure di intervento ci sono appunto gli strumenti della digitalizzazione che si sono dimostrati molto utili e resilianti durante questa pandemia e che possono aprire a nuove possibilità anche le realtà economiche più decentrate.
Dunque come ripartire? Favorendo l’adeguamento tecnologico del ciclo produttivo, attraverso un maggiore investimento di capitale fisico, con un’apertura verso quei settori che hanno dimostrato maggior resilienza durante la crisi pandemica ed investendo nel capitale umano, soprattutto nei giovani
Oltre a tutto ciò servono politiche attive che rimettano il lavoro al centro. Così la Regione intende affrontare e accompagnare le imprese del territorio fuori dalla crisi.
“A livello regionale siamo ben consapevoli del quadro dentro il quando in cui ci muoviamo. Abbiamo l’esigenza – ha aggiunto l’assessore regionale Alessandra Nardini – di superare lo storico disallineamento esistente tra competenze del mondo universitario e reali esigenze delle aziende. Allo stesso modo serve accompagnare chi deve reinserirsi nel mondo del lavoro a poter acquisire nuove conoscenze”