Rischiava l’estinzione ma oggi rappresenta una nuova opportunità di rinascita per l’agricoltura toscana. Il Grano 23, recentemente iscritto nel Repertorio regionale e all’Anagrafe nazionale dell’agrobiodiversità, è una varietà di grano tenero molto importante per il territorio.
Coltivato in Lunigiana già dai primi decenni del Novecento, sia in pianura che nelle zone montane, il Grano 23 è stato selezionato sul posto dagli agricoltori stessi che lo utilizzavano per soddisfare i loro fabbisogni. La conoscenza e le tecniche si sono poi tramandate da una generazione all’altra.
Le caratteristiche del Grano 23
“Si tratta di un grano tenero tardivo – spiega Luciana Angelini, docente presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa e responsabile del progetto di valorizzazione del Grano 23 in Lunigiana – che si adatta bene agli ambienti di montagna e, in generale, a sistemi di coltivazione biologici. La taglia più elevata e l’alto vigore già a partire dalle fasi iniziali del ciclo le consentono di competere con le infestanti, congiuntamente ad una spiccata capacità di difendersi alle avversità biotiche, con la produzione di metaboliti secondari (polifenoli), che si dimostrano poi molto importanti ai fini nutrizionali.
La spiga è densa, di colore tipicamente chiaro e presenta, soprattutto nella parte apicale, brevi segmenti, denominati barbe. Le cariossidi, anch’esse di colore chiaro, hanno la tipica frattura farinosa del frumento tenero, ma in alcune di queste si può notare anche una frattura vitrea, tipica del grano duro.
Veniva normalmente seminato nelle diverse zone della Lunigiana ai primi di ottobre, in modo da ottenere piante caratterizzate da un adeguato sviluppo vegetativo per affrontare la rigidità dell’inverno in fase di accestimento. La raccolta della granella avveniva di norma dopo la metà di luglio.
Il rischio di erosione genetica è elevato sia per il ridotto numero dei coltivatori, che per la limitata dimensione delle superfici coltivate. Le aree dove viene coltivato sono inoltre soggette a frequenti danni causati dalla fauna selvatica, con conseguente perdita di produzione. Pertanto attivare un sistema di conservazione di questa risorsa genetica, sia in situ presso gli agricoltori, che ex situ, presso le Banche del Germoplasma della Regione Toscana, è fondamentale per la sua tutela. La valorizzazione di questa varietà locale di grano attraverso forme di filiera corta, di vendita diretta, di scambio e di acquisto di prodotti agricoli e alimentari tipici, nell’ambito di circuiti locali, potrà certamente contribuire ad un processo generale di rivitalizzazione economica del territorio”.
La farina del Grano 23
“Questo grano – continua la professoressa Angelini –, tradizionalmente macinato in molini a pietra, è apprezzato per la sua farina, di colore chiaro, dal sapore e profumo delicato. Le analisi effettuate hanno evidenziato caratteristiche nutrizionali e nutraceutiche migliori, sia rispetto alle varietà moderne, che rispetto ad alcune vecchie varietà locali di grano tenero. Tuttavia la forza di questa farina non è molto elevata e durante l’impastamento assorbe poca acqua e trattiene poca anidride carbonica durante la lievitazione. Queste caratteristiche sono tuttavia coerenti con l’utilizzo a cui viene tradizionalmente destinata, vale a dire la produzione di prodotti poco lievitati o azzimi, come testaroli, panigacci, paste fresche e pani poco lievitati, tra cui rientrano molti dei prodotti agroalimentari tradizionali della Lunigiana. È stata condotta un’analisi organolettica di testaroli e panigacci prodotti con questa farina, confrontandoli con quelli prodotti con una miscela di farine con qualità panificatoria superiore ottenute da varietà moderne, e non sono state riscontrate differenze statisticamente significative nei principali parametri analizzati”.
Il territorio di coltivazione
La zona tipica di produzione interessa i territori toscani di Aulla, Bagnone, Casola in Lunigiana, Comano, Filattiera, Fivizzano, Fosdinovo, Licciana Nardi, Mulazzo, Podenzana, Pontremoli, Tresana, Villafranca in Lunigiana, Zeri. Inoltre, il Grano 23 è diffuso anche nei comuni della Val di Vara in provincia di La Spezia.
Il contributo del genetista Enrico Avanzi
“È difficile risalire alle origini del termine Grano 23 – racconta la professoressa Angelini -. Dalle testimonianze raccolte in loco pare che il nome Grano 23 possa derivare da una trascrizione sbagliata di Avanzi 3, forse in riferimento al famoso agronomo e genetista, il professore Enrico Avanzi, il quale negli anni ’30 del secolo scorso condusse un’intensa sperimentazione sulle varietà di grano tenero adatte alla montagna, proprio in Lunigiana e nell’Alta Val di Vara”.
Il Testarolo, piatto tipico della Lunigiana e “antenato” della pasta
Da questo grano antico con basso contenuto di glutine nasce il testarolo artigianale pontremolese (Presidio Slow Food), già noto ai tempi dei Romani, e preparato con soli tre ingredienti: farina, acqua e sale.
Leggendo le materie prime, ci aspetteremmo di trovare uno dei tanti pani azzimi della storia, invece a Pontremoli si è trasformato da subito in un primo piatto.
“Il testarolo viene cotto nei testi – racconta Fabrizio Botta di Testarolando, azienda agricola di Pontremoli che ha partecipato al progetto di recupero di questa varietà autoctona –, una sorta di piccolo forno in ghisa (un tempo di terracotta) composto da due parti, quella inferiore, ‘sottano’, dove vengono posti gli alimenti e quella superiore, ‘soprano’, che fa da coperchio, entrambi arroventati sul fuoco vivo. I testaroli prodotti con Grano 23 si presentano leggermente più scuri rispetto a quelli prodotti con la farina comune”.
Il testarolo, una volta cotto, viene tagliato a losanghe e messo in acqua bollente. Nel piatto viene condito con un pesto “gentile” alla pontremolese, che prevede formaggio, olio e basilico. E qui si ricrea la magia, perché dal testarolo si ottengono (al plurale) i testaroli, pronti da gustare.
Difendere un prodotto agricolo vuol dire difendere il nostro futuro
Perché è importante preservare la biodiversità
Salvaguardare questo bene prezioso significa salvaguardare un bene comune e preservare la biodiversità agricola. Le varietà locali come il Grano 23, oltre ad essere legate alle tradizioni e alla cultura del territorio, sono più resilienti e contengono al loro interno un patrimonio genetico che potrà rivelarsi utile anche in futuro per far fronte alle grandi sfide della nostra agricoltura, dai cambiamenti climatici, alla sostenibilità ambientale, alla sicurezza alimentare.