Dal primo anniversario del naufragio della Costa Concordia, ogni 13 gennaio porta ricordi, riflessioni, insegnamenti che si accumulano. Il tempo che passa, per certi aspetti, più che creare distacco crea legami.
È stata una tragedia: 32 vittime a cui si è aggiunto un sommozzatore che ha perso la vita nel corso dei lavori per la rimozione del relitto. Famiglie e amici la cui vita è cambiata per sempre.
È stata anche – nei giorni, nelle settimane, nei mesi, negli anni in cui si è lavorato per rimuovere il relitto dalle acque dell’Isola del Giglio nel minor tempo possibile, con la massima sicurezza possibile e con il minor impatto ambientale possibile – un’emergenza nel corso della quale alcuni degli elementi peculiari di un sistema unico, quello della protezione civile, sono emersi con forza.
Dover affrontare una situazione emergenziale come quella che si era creata non era stato previsto, semplicemente perché un naufragio di una nave da crociera lunga quasi 300 metri, con a bordo più di 4 mila persone, per di più al largo di una piccola isola nel mediterraneo che in inverno ospita poco più di mille abitanti, non era tra i rischi “probabili” per cui si è chiamati a elaborare dei “piani di emergenza” (e di piani, in questo periodo, ne sentiamo sempre più spesso parlare).
Una prima forza del sistema di protezione civile sta proprio in questo: essere flessibili per essere in grado di adattare processi, procedure, organizzazione alla specifica situazione reale che ci si trova di fronte. È quello che è avvenuto.
Situazioni complicate, apparentemente scomode nell’immediato, non vanno nascoste agli interessati. Altrimenti la fiducia, che è il motore di tutto, svanisce, e recuperarla in una situazione di emergenza è davvero difficile
Una forza che si lega a una consapevolezza: è davvero raro (se non impossibile) che ci sia un unico soggetto in grado di svolgere tutte le attività necessarie per superare un’emergenza, piccola o grande che sia, semplice o complessa. Una consapevolezza che, a sua volta, si porta dietro una constatazione (e un mito da sfatare): nella complessità di un sistema coordinato, le singole specificità, le eccellenze non vengono “perse” o “appiattite”, ma piuttosto vengono esaltate. L’importante è il coordinamento, su tutti i fronti, dalle attività sul campo (quelle per la ricerca dei dispersi, per i soccorsi, per il monitoraggio ambientale, per i controlli nelle lavorazioni) all’informazione di ciò che accade. E coordinare (che significa anche decidere, prendersi responsabilità e metterci la faccia, nel bene e nel male, avendo la fiducia di coloro che ti devono seguire), non è di certo un lavoro agile o banale, come mi pare sia sempre più evidente ogni giorno anche oggi. Ma si rivela fondamentale per gestire realmente una emergenza che – per la sua stessa natura – ha una ineliminabile caratteristica: essere costellata di incertezze.
Anche per questo – perché con il senno del poi è tutto molto semplice da giudicare e commentare – credo che la trasparenza, anche nella comunicazione, paghi sempre. Almeno, questa è una delle cose che ho imparato all’isola del Giglio. Situazioni complicate, apparentemente scomode nell’immediato, non vanno nascoste agli interessati, altrimenti la fiducia, che è il motore di tutto, svanisce, e recuperarla in una situazione di emergenza è davvero, ma davvero difficile (e soprattutto cattura energie che si dovrebbero dedicare ad altro); certo, il racconto dell’incertezza andrebbe sempre contestualizzato, spiegato, accompagnato da una apertura al confronto. Necessariamente bisogna essere pronti a incassare qualche colpo. Nulla di troppo semplice, ma tutto assolutamente essenziale.
[Nel gennaio 2012, anno della tragedia della Costa Concordia, Francesca Maffini era responsabile dell’ufficio stampa del Dipartimento nazionale della Protezione civile]