Il volontariato non si è mai fermato, nemmeno nei momenti più duri della crisi sanitaria e sociale causata dall’epidemia da Covid-19. Ha agito in continuità e ha reinventato il proprio ruolo, spesso in collaborazione con altri attori sociali. È uno studio qualitativo approfondito quello che il Centro di ricerca Maria Eletta Martini – fondato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, dalla Fondazione per la Coesione Sociale e dalla Scuola Sant’Anna di Pisa – pubblica in occasione della Giornata internazionale del volontariato del 5 dicembre. “Covid-19 e Terzo settore: uno sguardo in profondità” racconta in modo dettagliato la reazione del volontariato alla crisi e le dinamiche che questa ha generato nel terzo settore e più in generale nella società. Curato dalla sociologa Irene Psaroudakis (Università di Pisa) con la direzione scientifica di Luca Gori (Scuola Sant’Anna di Pisa) e Andrea Salvini (Università di Pisa) e la collaborazione delle ricercatrici Cira Siano e Gea Tahiri, è stato elaborato su un campione di 100 soggetti del terzo settore distribuiti in cinque Regioni (Lombardia, Veneto, Toscana, Campania e Puglia) ed alcuni operanti su tutto il territorio nazionale. Cento interviste ad altrettanti presidenti di enti del Terzo settore, un’indagine inedita che permette di valutare in modo accurato l’impatto della prima e della seconda ondata della pandemia ancora in corso, e una serie di dinamiche generate.
“C’è stata una reazione molto forte che ha visto l’attivazione di partecipazione civile e sociale a servizio di ogni comunità colpita”
La reazione dopo lo smarrimento
“Emerge un quadro inesplorato e complesso di come il terzo settore, e nello specifico il volontariato che agisce come colonna portante al suo interno, stia affrontando la crisi” spiega Emanuele Rossi, professore ordinario in Diritto costituzionale alla Scuola Superiore Sant’Anna e presidente del Comitato scientifico del Centro di ricerca Maria Eletta Martini. “Dopo l’iniziale smarrimento – aggiunge Rossi – c’è stata una reazione molto forte che ha visto l’attivazione di partecipazione civile e sociale a servizio di ogni comunità colpita. Una reazione non priva di difficoltà, che è costata anche molto in termini di risorse umane e materiali, che non solo ha fornito alle comunità servizi urgenti che il pubblico da solo non sarebbe stato capace di dare, ma ha anche rafforzato la coesione sociale e immesso nel sistema fiducia e senso di appartenenza in un momento delicatissimo della nostra storia. In definitiva quella cultura del volontariato da cui l’Italia deve ripartire per superare la crisi”.
Benessere e coesione
“Questa ricerca – aggiunge Andrea Salvini, professore ordinario di Sociologia e Metodologia della ricerca sociale all’Università di Pisa – racconta in profondità il ruolo di promozione della comunità e della coesione sociale svolto dal volontariato nella pandemia. Un ruolo che va difeso, in particolare nel contesto della seconda ondata che rischia di fiaccare anche le migliori energie sociali attivate. Gli attori del Terzo settore esprimono il bisogno di essere riconosciuti non soltanto come enti che erogano servizi, ma soprattutto come soggetti che, attraverso la loro azione di animazione del territorio e di supporto ai cittadini, contribuiscono in modo essenziale al benessere e alla coesione sociale delle comunità servite, nell’ottica di costruzione di un welfare davvero partecipato e condiviso. Gli esiti dello studio evidenziano inoltre come, per gli enti del terzo settore, la situazione drammatica che si è creata con la pandemia possa costituire un momento significativo per riflettere sulla propria identità e sul senso profondo della propria presenza nel tessuto sociale”.
La metodologia e i risultati dello studio
Grazie alla realizzazione di interviste in profondità, il confronto approfondito con i 100 presidenti di realtà del terzo settore ha fatto emergere un quadro inedito di come il volontariato ha vissuto la crisi. Lo studio supera gli stereotipi di cui la narrazione pubblica del suo ruolo ha fatto abbondante uso in questi mesi, oscillando fra eroismo e catastrofismo, e lo fa riportando numerose testimonianze dirette, racconti che danno la reale percezione degli effetti che la crisi sanitaria e sociale ha avuto su tutte le dimensioni associative. L’indagine è stata realizzata indagando le dimensioni quali l’impatto generale della pandemia, la resilienza del terzo settore, il suo ruolo come attore di coesione sociale, l’impatto economico e sui volontari, il suo riconoscimento da parte degli enti pubblici e degli altri attori del territorio, nei vari momenti della “narrazione” dell’evolversi dell’epidemia.
Il volontariato non si è mai fermato
Pur nelle limitazioni e in mezzo ad un certo smarrimento iniziale, il volontariato non si è mai fermato, ma ha cercato di muoversi con continuità, “reinventandosi” all’interno delle comunità. Ha dato il suo contributo imprescindibile alla distribuzione di beni di prima necessità (cibo, prodotti igienici, abiti, farmaci), aiutando economicamente chi era in difficoltà, organizzando raccolte fondi, ascoltando e rimanendo in relazione con la collettività tutta e con i soggetti fragili anche grazie all’utilizzo di strumenti informatici. Questo ha portato in molti casi ad aumentare la mole di lavoro e non a diminuirla. Forte anche l’impegno dei volontari nella formazione, per acquisire anche quelle competenze sanitarie necessarie al momento. Da non sottovalutare l’impatto economico però sulle stesse organizzazioni: incremento delle spese anche per i dispositivi di sicurezza e minori fonti di entrata stanno avendo conseguenze importanti sui bilanci.
Al centro della comunità
Senza il suo contributo, tutto il tessuto sociale avrebbe sofferto ancora di più perché il volontariato ha permesso alle persone di rimanere in relazione, di non essere abbandonate e quindi di sentirsi parte di una comunità. Dallo studio del Centro di ricerca Maria Eletta Martini emerge chiaramente come il terzo settore svolga un ruolo cruciale nella promozione della comunità e della coesione sociale, anche favorendo rapporti di buon vicinato e tessendo una relazionalità altrimenti impraticabile. Da qua il rischio che venga visto dal pubblico come un rimedio da cui attingere alla bisogna, rischio che è osteggiato dai soggetti del terzo settore che invece chiedono con forza di essere riconosciuti sia nelle attività sia nel ruolo che svolgono nei processi di costruzione comunitaria.
La crisi come acceleratore di dinamiche
La ricerca dimostra anche come la pandemia, pur nella sua negatività e drammaticità, abbia rappresentato anche una “occasione” da cui il volontariato ha potuto trarre una serie di elementi per riorganizzarsi e affrontare diversamente e con più slancio dinamiche già in corso come l’emersione della povertà in alcuni contesti, la scarsa digitalizzazione di alcune aree e fasce sociali, l’ambiguità nel rapporto con gli enti pubblici, la carenza strutturale di strumenti operativi e il ricambio generazionale. Infine ha aumentato la capacità di lavorare in rete, sia fra le organizzazioni stesse, sia con gli altri soggetti del territorio, in particolare quelli pubblici. Di fronte alla seconda ondata dell’epidemia, il volontariato non è impreparato e sono state da tempo implementati piani operativi che fanno tesoro del lavoro svolto in questi mesi anche se la stanchezza e la tenuta psicologica dei volontari è sotto pressione. Sfide di fronte alle quali il volontariato, nelle parole dei suoi protagonisti, non ha alcuna intenzione di arrendersi.