Il ritorno alle aree interne e montane dell’Italia era già in corso prima della pandemia di Covid-19, che ha stravolto le nostre vite e portato molti, anche grazie alla possibilità dello smart working, a considerare un trasferimento dalle città ai borghi. Per governare e capire questo cambiamento che potrebbe segnare un’epoca Anci Toscana ha organizzato l’hackaton “Presenti al futuro: le nuove sfide per la montagna”, un incontro online che il 26 e 27 novembre metterà a confronto studiosi, politici, amministratori locali ed esperti.
Tra loro c’è anche Antonio De Rossi, professore al Politecnico di Torino dove dirige l’Istituto di Architettura Montana, ma anche curatore di Riabitare l’Italia, un saggio a più mani sulla possibilità di tornare a vivere le aree interne del nostro paese, che coprono il 60% del territorio italiano e dove oggi vive il 22% della popolazione, pari a circa 13 milioni di persone.
Professor De Rossi, negli ultimi anni cosa è cambiato nella percezione delle aree marginali dell’Italia, tra cui c’è la montagna? Siamo pronti a un nuovo ripopolamento di queste zone preziose?
Dall’Unità d’Italia in poi la montagna e le aree interne sono sempre state percepite come un problema, oggi invece c’è una grande trasformazione culturale in atto a cui il Covid-19 ha fatto solo da acceleratore. Le città infatti non sono più la terra promessa che sono state durante tutto il Novecento, quando hanno anche rappresentato un fattore di emancipazione per centinaia di migliaia di giovani. Oggi le città attraversano una crisi strutturale del loro modello di sviluppo e per la prima volta dopo tantissimo tempo noi vediamo in questi territori interni e di montagna anche delle opportunità. Si apre la possibilità di una visione che noi chiamiamo metro-montana, che non è tanto il ritorno nei borghi quanto un nuovo rapporto di collaborazione e interdipendenza tra le città e i territori rurali e di montagna.
Cosa è cambiato con la pandemia?
La pandemia è stata un acceleratore di una tendenza in atto, ci ha mostrato la fragilità delle politiche che abbiamo perseguito negli ultimi 30 anni. La crisi sanitaria ci ha fatto vedere che concentrare le attività in pochi territori metropolitani non funziona, lo dimostra anche la crisi della sanità lombarda, dove si sono viste tutte le difficoltà derivanti dalla mancanza di una sanità territoriale.
La pandemia rivela che i territori meno fragili sono quelli multifuzionali, non quelli specializzati, nel turismo è evidente: Venezia è crollata su stessa perché ha un’economia monofunzionale, legata a un solo settore di attività. Invece i territori che hanno funzionato meglio sono quelli con più attività al loro interno, come appunto le aree interne.
Per ripopolare e creare sviluppo nelle aree montane servono politiche adeguate e quali?
Nel 2013 l’allora governo Monti, grazie al ministro alla coesione territoriale Fabrizio Barca, varò la Strategia Nazionale Aree Interne, una politica molto sperimentale che però ha incontrato problemi burocratici di realizzazione. L’intenzione del Governo attuale e del ministro Provenzano, che parlerà anche all’hackaton di Anci Toscana, è quella di allargare la Strategia Nazionale Aree Interne per supportare questi territori. Innanzitutto bisogna rafforzare i piccoli comuni, anche come numero di risorse umane, per permettergli di mettere a punto e portare avanti progetti di sviluppo.
Poi la pandemia ha dimostrato che siamo molto in ritardo sull’infrastruttura digitale: la prima necessità è ridurre il divario digitale che le aree interne hanno rispetto agli altri territori, è fondamentale. Abbiamo visto che il telelavoro è possibile, che le famiglie possono anche abitare anche in più posti, nelle mie Alpi piemontesi ad esempio molte famiglie durante la pandemia grazie al telelavoro si sono trasferite nelle seconde case o ne hanno acquistate di nuove e hanno iscritto i loro figli nelle scuole di montagna o nelle valli, ma appunto la condizione necessaria è l’infrastruttura digitale.
Qual è l’identikit di questi nuovi montanari che scelgono di abitare nelle aree montane?
I nuovi montanari sono di tanti tipi, forse il più interessante sono le giovani famiglie ad alto tasso di scolarizzazione con figli che hanno un progetto imprenditoriale e anche di vita legato alla montagna, un progetto che poi assume anche una valenza collettiva e comunitaria. Queste sono le figure più interessanti, basta che in un paese o in una piccola valle ce ne siano una decina per cambiare anche le sorti di questi territori.