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Covid-19: la violenza sulle donne al tempo della pandemia

Durante il lockdown più chiamate ma meno denunce, ecco i dati del dodicesimo Rapporto sulla violenza di genere in Toscana

La pandemia causata dal Covid-19 ha evidentemente mutato la vita sociale, economica, politica di tutti, con conseguenze che ancora oggi è difficile poter valutare in maniera sistemica. In particolare le ricadute più pesanti si sono avute sulle persone più vulnerabili, come quelle anziane o con alcuni tipi di disabilità. Nei mesi difficili dell’emergenza sanitaria da marzo a maggio 2020 le donne hanno sofferto, molte si sono trovate in prima linea a gestire un surplus di lavoro e di cura della famiglia a causa del lockdown. Le donne vittime di violenza si sono trovate a convivere col violento accanto, senza poter uscire e in solitudine anche se la rete dei centri di violenza ha provato a fare la sua parte.

Vittoria Doretti responsabile della rete regionale del Codice rosa ha dichiarato: “Abbiamo vissuto mesi particolarmente impegnativi, ma ci sono stati momenti di intensa bellezza. Nel pieno della pandemia dal primo marzo le referenti del Codice rosa si sono messe in auto-convocazione permanente, è stato un atto di una grandiosità incredibile. Abbiamo lavorato tutte insieme e la rete è stata fortissima, abbiamo affrontato insieme ogni caso. La vera forza della rete è stato il fatto di essere di una dinamicità incredibile, questo ci ha condotto e salvato. Ci sono stati momenti di grande pesantezza ma non abbiamo perso di vista la responsabilità che ognuno di noi aveva. In piena emergenza la Regione Toscana ha dato una risposta complessiva immediata. Il codice rosa ha retto perchè è liquido, dinamico, per ogni caso cambiano le procedure. I centri antiviolenza sono rimasti attivi, abbiamo creato dei corridoi dove le donne potessero arrivare in modo sicuro in pronto soccorso.

I dati

Dal dodicesimo rapporto sulla violenza di genere in Toscana emerge che durante il primo lockdown i dati relativi ai Centri antiviolenza in Toscana hanno mostrato un calo di nuovi contatti, a cui ha corrisposto un calo delle denunce per maltrattamenti. Una fase di “silenzio spiazzante” in cui ad aumentare sono state, invece, le chiamate al 1522 il numero nazionale anti violenza e stalking. Il quadro toscano è confermato anche da un’indagine nazionale fatta dall’Istat sulle chiamate al 1522: dal 1 al 22 marzo si registra un calo delle denunce per maltrattamento in famiglia del 43,6% .

Le donne vittima di stalking durante il lockdown hanno vissuto un insolito momento di “protezione” e liberazione dall’uomo che le vessava. Per le donne che invece convivevano col compagno maltrattante l’isolamento dal mondo è stata una fase distopica. Sicuramente ci sono state meno violenze, ha prevalso il clima di paura e di incertezza che ha spinto i nuclei familiari a unirsi contro il pericolo che proveniva dall’esterno. L’uomo autore di violenza fuori dalla logica del branco che lo rafforza e sotto lo stretto controllo del vicinato si è ‘calmato’ anche perchè il lockdown ha di fatto realizzato il suo desiderio di vedere la donna chiusa in casa e isolata da tutti. A maggio quando le normative anti-Covid si sono allentate si è assistito a un’escalation di violenza, molti casi sono usciti allo scoperto solo ‘dopo’. Ma è chiaro che non è stato il lockodown a scatenare la violenza che era presente anche prima, il periodo del distanziamento sociale è stata solo una ‘pausa’.

Il fondamentale aiuto della tecnologia

Molte donne durante il lockdown hanno messo in campo grazie alle nuove tecnologie silenziose azioni di rivolta in contatto con le operatrici dei centri anti-violenza. Alcune che non l’avevano mai fatto hanno imparato ad usarla. Ci sono casi in cui si è addirittura fatto uso della Didattica a distanza dei figli per chiedere aiuto. Un’operatrice ha raccontato di una donna straniera che si è connessa al wi-fi sotto casa e ha chiamato la famiglia nel paese di origine che poi ha chiamato il centro antiviolenza. Durante il periodo del lockdown nessun centro antiviolenza della Toscana ha interrotto i propri servizi. Venuta meno la possibilità delle visite domiciliari, le risorse sono state reinventate, sono stati introdotti colloqui telefonici, videochiamate e l’uso dei canali social.

Centri antiviolenza: risposta veloce e creativa ai problemi

I territori che avevano reti, prassi e relazioni confermate già da tempo si sono attivati con una certa velocità. Gli altri sono riusciti tempestivamente ad allargare i nodi della rete, tramite rapporti informali. C’è stata una grandissima capacità di reazione e grande creatività nel trovare soluzioni e aiuti alternativi da parte delle operatrici. La rete è stata capace di essere flessibile e adattarsi, attivarsi in risposta al contesto, in un processo di de-burocratizzazione. Sono stati attivati anche canali non istituzionali e inconsueti, per esempio c’è stato un coinvolgimento delle farmacie e dei volontari che si occupavano della consegna dei pacchi alimentari a cui veniva chiesto di monitorare le situazioni. Una soluzione poco battuta è stata quella dell’allentamento del maltrattante.

Uno sguardo al futuro

L’uscita dal mondo del lavoro di molte donne che nel corso della pandemia si sono trovare in prima linea ad affrontare tutto sulle loro spalle un surplus di lavoro e di cura dei figli e della casa è una situazione molto rischiosa perché, come ben sappiamo, la dipendenza economica è uno dei primi fattori dell’insorgere di forme di violenza e controllo psicologico da parte dell’uomo sulla donna.

 

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