La montagna potrebbe vivere la sua seconda possibilità. In molti oggi strizzano l’occhio a quelle che fino a ieri venivano considerati luoghi ai margini, belli per la classica gita, le vacanze sulla neve o per rilassarsi respirando aria buona e fresca, in estate.
Una visione più legata alla fruzione turistica che alla ‘residenza’, alla vita quotidiana. E invece ecco che la pandemia ha ribaltato tutto in poco meno di un anno. Complice il lockdown gli italiani hanno scoperto nuovi bisogni: gli spazi verdi, la natura, la vita di comunità.
In tanti hanno scoperto la solitudine, gli spazi soffocanti dei bilocali, distese di cemento. Molti, moltissimi hanno modificato la modalità di lavoro, usufruendo dello smart working. Così la sede di lavoro può essere ovunque, anche in quei luoghi così lontani dalle città, dove il tempo si fa lento e l’uomo adegua i suoi ritmi a quelli della natura. La montagna si prende la sua rivincita ma deve comunque fare i conti con quei nodi di criticità che c’erano prima e permangono ancora adesso. Ne abbiamo parlato con Luca Marmo, responsabile per le politiche della montagna di Anci Toscana, in vista della due giorni “Presenti al futuro, le nuove sfide per la montagna”, in programma su Zoom il 26 e 27 novembre prossimi.
La pandemia non solo ci ha messo di fronte all’emergenza sanitaria ma anche all’esigenza di ricostruire la società, spinti anche da cambiamenti che arrivano dal basso, dai cittadini stessi. Un cambiamento che va però governato: riguardo alle zone montane che potrebbero essere interessate da un repentino ripopolamento, quale potrebbe essere lo scenario, vi state interrogando, come sindaci su quest’aspetto?
Abbiamo davanti sfide planetarie e in queste va inquadrato il ragionamento. Il covid poi ha acceso una sensibilità rinnovata verso gli spazi aperti. Oggi il tema è quello prima di tutto di riconnettere i centri urbani con le periferie e questa connessione la governiamo solo se le infrastrutture della viabilità sono snelle e se la rete esiste. Queste sono le grandi traiettorie d’impegno per ripopolare la montagna. L’occasione dei fondi comunitari e il tema dei recovery found diventano la vera sfida per i prossimi anni. Argomenti di cui parleremo nelle giornate del 26 e 27 novembre insieme agli altri sindaci per creare una piattaforma programmatica da sottoporre alla Regione Toscana per l’utilizzo dei fondi.
L’idea di un cambio di vita, di ritmi più lenti, di ricerca dell’essenziale è un tema che sicuramente ‘suggestiona’ positivamente. E’ l’idea della ricerca della felicità e della sicurezza, è l’evasione dopo mesi di chiusura forzata nelle case. Ma i piccoli comuni, i centri di montagna, sono pronti ad affrontare una richiesta che – complice lo smart working – rischia di essere alta?
I dati che abbiamo sul tavolo oggi non sono strutturali anche se la sensazione ci dice che l’interesse è forte. Una testimonianza è arrivata anche dalla crescita del turismo di prossimità della scorsa estate e anche da chi sta decidendo di venire a vivere in montagna. Questo interesse c’è. Gli spazi in termini di abitazioni ci sono e – tra l’altro – anche a prezzi concorrenziali. Questo sicuramente aiuta a favorire certe dinamiche. Ovvio che bisogna investire in servizi, infrastrutture viarie e di rete, come le dicevo prima.
C’è il rischio di un “ripopolamento temporaneo” della montagna legato allo smart working?
Ricette non ce ne sono. Il deterrente sono investimenti e servizi. Pacchetti di servizi che facciano sì che sia dignitosa la permanenza in montagna.
La domanda cresce ma i servizi – come diceva – continuano a mancare. Avete fatto battaglie come sindaci per impedire la chiusura degli uffici postali, degli sportelli bancari. Da prima della pandemia ad ora in fondo niente è cambiato. Ma a fronte di una richiesta crescente di ‘nuovi cittadini’ cosa farete?
In questo scenario molto promettente dobbiamo essere coscienti che la montagna in tutto questo tempo è stata concepita come un “luogo altro”. E questo ha portato modelli di gestione che hanno indotto a un allontanamento dalle montagne. La cancellazione delle province, architrave per i territori montani, ha rappresentato un problema enorme per i piccoli comuni come un problema è stato l’accorpamento dei grandi servizi pubblici, dall’acqua, ai rifiuti e alle Asl, ovvio che si perde il contatto con la periferie. Anche su questa traiettoria serve dunque una grande riflessione che non deve portarci indietro ma bisogna immaginare che ci siano anche livelli intermedi dotati di autonomia finanziaria e di gestione.
All’inizio della nostra chiacchierata ha toccato la questione delle connessioni tra montagna e città. Come dare concretezza a questo ‘incontro’?
Le connessioni da attivare in prima istanza sono quelle fisiche, viarie e tecnologiche. E’ necessario incentrarle in un’architettura istituzionale e poi c’è un aspetto più sottile che attiene alle modalità in cui si collegano la piana e la montagna. Le spiego: la montagna non dà servizi solo a chi ci abita ma a tutti. Parlo di acqua, aria pulita, spazi, energia. Bisogna monetizzare questi servizi ecosistemici che generano valore comune. Poi tocco un’altra questione. Se ci fosse un servizio di alto livello in montagna vorrei che per le persone che vivono in città fosse normale venire ad usufruirne. Questo consentirebbe movimenti ampi sui territori, circolarità.
Si parla troppo spesso di innovazione tecnologica e pare quasi rimanere secondaria l’innovazione sociale. La montagna potrebbe invece candidarsi – rispetto a quello che ci siamo detti – ad essere il luogo nel quale queste due spinte generatrici di futuro possano incontrarsi?
Ci sono esperienze importanti che arrivano dalla montagna. Ne cito una: l’Oasi Dinamo Camp (a Limestre, Pistoia, n.d.r) che ha sviluppato un’attività eccellente prevalentemente centrata sulla cura dell’individuo, in particolar modo sull’assistenza dei bambini portatori di gravi patologie con la terapia ricreativa (basata su attività a cavallo, mini-fattoria e agility dogs. n.d.r). Iniziative allargate poi a tutti. E’ ovvio che l’ambiente montano si presta a sviluppare questo tipo di modello, queste nei prossimi anni saranno le professioni del futuro. Questo è un target che nei nostri territori può rappresentare un grosso potenziale.
Voi avete già alla mano un documento, il Manifesto della Montagna toscana. Qual è il punto chiave?
Quel manifesto ha un concetto chiave: la riconnessione della montagna con la piana. Si è sempre pensato alla montagna come un luogo che ‘va assistito’, come portatore di problemi e questo è un concetto perdente. Il manifesto ribalta la visione: la montagna è portatrice di valori e questo vogliamo rivendicare.