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Il ritorno alla montagna di Paolo Cognetti: la sfida è ripopolarla proteggendola

Lo scrittore, vincitore del Premio Strega nel 2017, sarà tra gli ospiti dell’hackaton promosso da Anci Toscana sul futuro delle aree montane

Quello tra Paolo Cognetti e la montagna è un rapporto speciale, al centro di diverse opere dello scrittore milanese tra cui il romanzo Le otto montagne, con cui ha vinto il Premio Strega nel 2017, ma anche Il ragazzo selvatico, dove Cognetti racconta come il suo trasferimento in montagna gli abbia cambiato la vita.
Per questo lo scrittore sarà uno dei protagonisti dell’hackaton “Presenti al futuro: le nuove sfide per la montagna”, promosso da Anci Toscana a cui parteciperanno esponenti del governo, ma anche amministratori locali, esperti e studiosi per ridiscutere il ruolo delle aree montane.

Paolo, partendo dal titolo dell’evento di Anci, quali pensi che siano le nuove sfide per la montagna?
La sfida più grande è trovare un modo di vivere e ripopolare la montagna senza rovinarla, proteggendola. È un luogo che ha bisogno di essere di nuovo popolato, perché in gran parte non lo è più, ma è anche un luogo molto delicato che deve essere protetto. Questi due bisogni della montagna sembrano in conflitto l’uno con l’altro ma bisogna trovare il modo di conciliarli.

La pandemia e il lockdown sembrano aver alimentato il desiderio di stare più contatto con la natura, lo smart working poi ha permesso a molti di lasciare le città, pensi che questo abbia acceso un rinnovato interesse per la montagna e i suoi piccoli centri? Ci può essere un ritorno che non sia solo di passaggio? 
Sì, è quello che abbiamo visto la scorsa estate. Io abito per una buona parte dell’anno in un paese di seconde case e per la prima volta dopo tanti anni l’ho visto abitato per tutta l’estate, è stato molto bello.
Il ritorno è possibile se viene anche sostenuto, le persone che oggi tornano alla montagna non fanno però mestieri legati alla montagna, non sono agricoltori o pastori. Chi vuole vivere in montagna ma facendo i lavori del 2020 ha bisogno di servizi necessari, quindi prima di tutto una buona connessione alla rete ma poi anche servizi per bambini, per anziani.

Tu a un certo punto della tua vita ti sei trasferito a vivere in montagna, che significato ha per te questa scelta?
È stata una piccola rivoluzione privata all’inizio, anche un grande desiderio di liberazione, sicuramente ha avuto anche un valore politico. Poi, senza forse esserne così consapevole, è diventato qualcosa che ho raccontato e quindi non più così privato, è diventato forse anche un modello a cui qualcun altro poteva ispirarsi.

Le otto montagne di Paolo Cognetti
Le otto montagne di Paolo Cognetti

In quello che scrivi si legge anche una nostalgia per la montagna perduta di una volta, per una civiltà che oggi non esiste più: pensi che sia possibile ricostruirla?
No. Penso che quella montagna dei montanari, dei villaggi in pietra, quell’armonia che esisteva nel mondo contadino tra gli abitanti e il luogo in cui lavoravano e da cui traevano sostentamento, si è perduta ormai. Però ci sono altri sogni contemporanei, c’è per esempio l’idea di costruire delle città o cittadelle ecologiche, l’idea di sfruttare la tecnologia per vivere in una maniera un po’ più rispettosa del mondo.

Hai detto che per te la montagna è il luogo delle relazioni verticali, cosa significa?
La città è il ruolo delle relazioni orizzontali, che nascono intorno alla tua rete di contatti, invece spesso in montagna si è in pochi e quelle poche relazioni vanno coltivate più in profondità. Quindi per me è diventato il luogo delle amicizie più autentiche, anche perché il posto in cui nascono le rende tali.

Che differenza pensi ci sia tra le Alpi, dove tu vivi, e l’Appennino come tipo di società nata intorno alla montagna?
Le Alpi hanno ormai questa vocazione turistica che da una parte le ha salvate dallo spopolamento e dall’altra le ha molto rovinate, io abitando in Valle d’Aosta lo so molto bene. L’Appennino invece è allo stesso tempo più integro e più abbandonato, meno turistico, questo ai miei occhi rappresenta una grande possibilità: è un luogo non compromesso, in cui ancora si può immaginare da zero un futuro.

 

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