Anteprima a Firenze del film Beirut, la vie en rose
Chissà se ancora oggi, all’indomani della tragica esplosione avvenuta lo scorso 4 agosto, che ha provocato la morte di oltre 200 persone e il ferimento di altre migliaia, distruggendo un quartiere e lasciando in ginocchio un’intera città, i quattro protagonisti del film Beirtut, la vie en rose, sono ancora in grado di portare avanti il loro stile di vita dorato.
Il documentario Beirut, la vie en rose, firmato da Éric Motjer, una produzione libanese e spagnola, è stato realizzato lo scorso anno, nel 2019, e segue la vita di quattro persone, facenti parte della minoranza cristiana in Libano, rappresentanti dell’alta borghesia. Persone che conducono una vita circondata da agi e privilegi, distaccata e avulsa dalla profonda crisi del paese – dovuta ad una guerra civile pluriennale – e dalle sue nefaste conseguenze economiche e sociali.
Ville con piscina immerse nel verde e nel silenzio, feste in grande stile in saloni lussuosi e sfavillanti, party musicali, danze e tanta spensieratezza: questa è la cifra dei personaggi del documentario, che porta alla luce una realtà particolare, quella di una minoranza che non vuole fare i conti con la realtà, rimasta ancorata all’età dell’oro di Beirut, vissuta dagli anni ’50 alla metà degli anni ’70, quando era considerata la “Svizzera d’Oriente”. Riprese aeree, interviste in giardini e case lussuose, una rolls royce che si aggira imperturbabile in una città semidistrutta: tutto nel film restituisce un senso di estraniamento e distacco dal mondo reale, che rimane lontano, ai margini, intangibile.
E la vita (en rose) di questa piccola comunità di privilegiati nella Beirut di oggi, diventa l’emblema delle élite di qualsiasi paese, di chi non vuole guardare verso il basso e si ritira in luoghi lussuosi, continuando ad auto-alimentare un’illusione di prosperità, bellezza e ricchezza. Élite che esistono in ogni società, anche dalle nostre parti, come quella descritta da Paolo Sorrentino ne La Grande Bellezza, che si rifugia nelle terrazze romane per non mischiarsi alle miserie del mondo di sotto e dove si tengono feste danzanti e convivi per intellettuali annoiati. Non a caso la colonna sonora di musiche elettroniche di Beirut, la vie en rose, è tratta dal playbook di musiche da film di Paolo Sorrentino.
Il festival Middle East Now
Il film sarà proiettato al festival Middle East Now, manifestazione diretta da Lisa Chiari e Roberto Ruta, che da anni porta a Firenze uno spaccato della società mediorientale contemporanea, in programma al cinema La Compagnia dal 6 all’11 ottobre (www.middleastnow.it), che si terrà in presenza e online sulla piattaforma Più Compagnia.
Il festival, quest’anno, propone 37 titoli in programma, premiati nei migliori festival internazionali, per la maggior parte in anteprima, provenienti da Afghanistan, Algeria, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi, Giordania, Iran, Iraq, Israele, Kurdistan, Kuwait, Libano, Palestina, Siria, Tunisia e Turchia. Visual Voices è il tema di questa edizione, vale a dire la valorizzazione delle espressioni artistiche visive e dell’oralità di racconti autentici, in grado di travalicare muri, ostacoli, censure.
Tra i film in programma, un interessante focus sull’Iran, a cominciare dal film d’apertura il 6 ottobre, Sunless Shadows, girato in un centro di detenzione femminile iraniano dove sono recluse un gruppo di donne che hanno ucciso i propri mariti, padri o altri esponenti maschili della famiglia, frutto della disperazione di chi nella società non è ascoltato ed è ancora vittima di discriminazione e violenza.