La mostra ‘Vuoto’ sarà esposta al Centro Pecci di Prato dall’8 settembre al 1° novembre ed è la prima personale del fotografo Jacopo Benassi in un museo. Il progetto porta al Pecci lo studio del fotografo, parzialmente ricreato all’interno della mostra. I soggetti di Benassi sono i più disparati, dall’umanità che abita la cultura underground e musicale internazionale (a partire dall’esperienza del club Btomic, gestito dallo stesso fotografo con alcuni amici) a ritratti di modelle, attrici, artisti, stilisti pubblicati nelle più importanti riviste italiane, fino all’indagine sul corpo, che varia dalla documentazione autobiografica di incontri sessuali, allo sguardo intenso sulla statuaria antica e che può essere considerato il “filo rosso” della sua produzione pantagruelica.
Le foto di Jacopo Benassi usciranno poi dalle mura del Centro Pecci per invadere le strade della città con una campagna di affissioni pubbliche che utilizzano le immagini tratte da ‘The Belt’, progetto fotografico dedicato al distretto tessile pratese in collaborazione con l’Archivio Manteco. Il progetto di Benassi si concentra su Prato come centro riconosciuto dell’industria tessile che si contraddistingue per la fitta filiera di piccole e grandi aziende d’eccellenza capaci di lavorare grandi quantità di tessuti provenienti da ogni parte del mondo mixando le più alte tecnologie e i vecchi saperi artigianali. Nelle immagini a forte contrasto bianco e nero sono protagonisti i tessuti, i macchinari, i ritratti degli artigiani e le loro mani che lavorano. Il titolo del progetto, The Belt, si rifà alla Sacra Cintola, preziosa reliquia della Madonna conservata nella cattedrale di Prato, elemento identitario della città.
Ecco la nostra intervista
Ciao Jacopo come hai iniziato a scattare?
Sono 25 anni che faccio foto, al Pecci sono presenti le foto degli ultimi anni del mio lavoro. Ho iniziato che avevo 18 anni nei centri sociali. Facevo il meccanico, sono autodidatta, non venivo da una cultura scolastica. Mi sono comprato una macchina fotografica, ho iniziato da solo per i cavoli miei, poi ho capito che mi piaceva fare foto e ho provato. Poi ho avuto la fortuna di conoscere questo grande fotografo, un guru, una persona che ‘si dava agli altri’ Sergio Fregoso. Lui mi ha insegnato a guardare, a capire, a leggere una fotografia, mi ha insegnato molte cose. Da lì c’è stata un’evoluzione, tanto lavoro e tanta strada.
La tua mostra si intitola ‘Vuoto’ mi sembra un titolo paradossale, perchè in realtà le tue foto sono sempre piene di persone, di cose
L’ho chiamata ‘Vuoto’ perchè al Pecci non porto solo le foto ma porto tutto il mio studio. Ho svuotato lo studio per riflettere, è un punto di arrivo per me, adesso devo capire. Mi da modo di riflettere sul mio lavoro.
Dopo 25 anni qual è la tua riflessione, com’è cambiato il tuo lavoro, il tuo modo di scattare
Sicuramente è cambiato in meglio per me. Devo dire che ho vissuto il passaggio al digitale in maniera molto morbida e molto lenta. Alla fine mi ha velocizzato. Ho capito che la velocità era il mio modo di lavorare. Prima no, spendevo miliardi nelle pellicole. Vedo il passaggio al digitale come una svolta nel mio lavoro.
Cosa ne pensi del fatto che ormai sono tutti ‘fotografi’ tra virgolette, grazie alla tecnologia dei cellulari
Anche prima tutti avevano la macchina fotografica, oggi tutti sono fotografi perchè hanno Instagram, diventa la loro galleria, la loro piattaforma, per me non è così. Nel mio modo di vedere le cose io vedo tante fotografie ma non vedo fotografi. Bisogna vedere il lavoro complessivo, per me un artista è uno che lavora su un progetto che sente di fare. Ci sono tanti fotografi bravi ma vedo anche tanta standardizzazione. Spero che qualcuno mi smentisca.
Accanto alla mostra al Pecci c’è anche il progetto ‘The Belt’ che vede le tue foto in giro per le strada di Prato
Gli scatti scelti sono le foto di un libro che uscirà per Skira, un progetto editoriale. Mi hanno dato carta bianca, si fidavano molto di me, gli piaceva molto il mio lavoro. Sono stati coraggiosi perchè le mie foto sono molto forti e dure, io ho fatto quello che volevo.
L’immagine scelta per la locandina della mostra è la foto del petto di un uomo che si è tatuato ‘Stay Away’ vicino al cuore, che significato ha per te questa immagine?
Ha un significato molto forte perchè l’ho fatta durante il lockdown. Ho partecipato a una chiamata della rivista milanese Perimetro per donare una foto per l’ospedale di Bergamo che non aveva materiale. E’ stata un successo, abbiamo raccolto 800mila euro. Questa foto per me è diventata il simbolo di quel periodo brutto, tremendo e quindi l’abbiamo scelta come manifesto.