Rivivere un terremoto non è mai piacevole perché riporta a galla la memoria, i crolli, le perdite e i ritardi che ci sono stati nella catena dei soccorsi. Questo non ha spaventato Luigi Rossini, regista, che ha realizzato, in occasione del centenario, un documentario sul terremoto che nel 1920 colpì la Garfagnana e la Lunigiana.
Il documentario “1920. Il terremoto in Garfagnana e Lunigiana” andrà in onda questa sera, 7 settembre, alle 21:10 su Rai Storia e va a ricostruire, grazie all’aiuto di materiali d’archivio e testimonianze, i tragici fatti di quel giorno e il periodo successivo fino alla ricostruzione.
Come è nato questo documentario?
Anche se sono romagnolo conosco bene questa zona e la Toscana, vengo spesso al mare a Viareggio. In maniera un po’ casuale ho scoperto che quest’anno ricorrevano i cento anni del terremoto di Garfagnana e Lunigiana. Mi sono documentato, sapevo che la Toscana era ed è una zona sismica ma ignoravo che ci fosse stata una scossa così forte e intensa. Ho poi scoperto che questo evento ha permesso di ripensare le modalità di intervento e soccorso di quella che poi è diventata la protezione civile. Per questo ho proposto il progetto a Rai Storia, che l’ha ritenuto molto interessante.
Come si è svolta la ricerca delle fonti e dei materiali?
Per parlare di un evento così lontano è necessario avere tutti gli elementi disponibili per illustrarlo in maniera adeguata. Mi sono basato sulla ricerca di materiali documentali, scoprendo il fantastico mondo dell’Archivio storico di Stato che conserva tutti gli incartamenti. Là ho trovato le corrispondenze, i telegrammi, le relazioni di quell’evento drammatico che mi hanno permesso di avere un quadro molto preciso e chiaro di come tecnicamente si sono avvicendati i soccorsi, quali sono stati gli interventi del genio civile, genio militare, delle associazioni di volontariato, dei pompieri. Ma anche come si sono organizzati i soccorsi, quali difficoltà hanno incontrato.
Ho trovato testimonianze drammatiche, molto intese e toccanti dei soccorritori che arrivavano, anche diversi giorni dopo, in questi luoghi difficili da raggiungere.
Immagino sia stata complessa la ricerca delle immagini
Subito dopo la ricerca all’Archivio di Stato mi sono occupato della parte iconografica. Sono partito da una decina di foto trovate su internet. Da queste, mi sono messo in contatto con la Pro Loco di Castelnuovo di Garfagnana e con il comitato istituito per il centenario del terremoto. Grazie a loro e alla loro collezione sono riuscito ad acquisire tutta una serie di immagini che sono state fondamentali per la riuscita del documentario. È stato un contributo prezioso.
In più, la protezione civile della Garfagnana mi ha dato la possibilità di realizzare delle riprese aree fatte dall’elicottero su tutta la Garfagnana che sono altamente suggestive. Queste immagini riescono a raccontare bene la conformazione del territorio e le cosiddette fosse che si sono create per questi movimenti tellurici.
Nel documentario ha raccolto racconti o testimonianze?
Ci sono vari racconti indiretti, però il taglio che ho dato al documentario non è stato legato strettamente ai racconti delle persone che hanno vissuto, anche se indirettamente, il terremoto. Ho cercato soprattutto di raccontare questo evento attraverso gli esperti che hanno, a seconda dei vari punti di vista, messo in luce tutte quelle che sono le problematicità e gli elementi di fragilità del territorio, tra le cause del disastro. Grazie al contributo di un dirigente della protezione civile ho ricostruito le dinamiche dei soccorsi e le difficoltà incontrate. Non è un documentario di testimonianze evocative o su come si è tramandata la narrazione di questo evento ma è un documentario che ricostruisce le dinamiche e le problematiche dei soccorsi e di tutto quello che poi è avvenuto successivamente fino alla ricostruzione. Come certi luoghi sono stati ricostruiti a differenza di altri e di come tutto questo sia poi servito per mettere in sicurezza il territorio e creare una cultura della salvaguardia.