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Instant distopia: ‘Covid-19, storie dalla zona rossa’ di Manuela Salvi

L’autrice dell’ebook che spopola su Amazon sarà ospite del format ‘Le Acrobate’ sulla pagina facebook di Impact Hub Firenze martedì 12 maggio

Instant distopia: ‘Covid-19, storie dalla zona rossa’ di Manuela Salvi

Manuela Salvi ha pubblicato oltre venticinque libri per ragazzi in Italia, Francia, Germania, Spagna e Inghilterra. Dal 2004 collabora con la Mondadori Ragazzi come traduttrice e copyeditor e traduce anche per altri editori. Per diversi anni ha insegnato scrittura creativa nell’area ragazzi della Bottega Finzioni di Carlo Lucarelli, a Bologna. Nel 2014 ha completato il Master in Letteratura per Ragazzi alla Roehampton University di Londra e nel 2015 ha vinto la prestigiosa borsa di studio “Jacqueline Wilson” nella stessa università, aggiudicandosi un dottorato di ricerca di tre anni. Il suo libro in lingua inglese “Girl Detached” è stato nella lista delle nomination per la Carnegie Medal nel 2017.

Dal 15 marzo 2020 porta avanti il progetto Covid-19. Storie dalla zona rossa, sotto lo pseudonimo di M.D. Cheever: i racconti sono raccolti in ebook pubblicati su Amazon con cadenza settimanale, come in una sorta di libro a puntante. Al primo volume dal sottotitolo Week One, ne sono seguiti altri tre, per un totale di 28 racconti. Martedì 12 maggio alle 21.00 sarà protagonista sulla pagina di Impact Hub Firenze del format ‘Le Acrobate’ che racconta le storie di equilibrismi delle donne tra vita, lavoro e il futuro incerto. 

Ciao Manuela! Dove stai facendo la quarantena?
A Formia in provincia di Latina. Fondi qui vicino è stata una città colpita tipo Codogno, ma l’hanno chiusa immediatamente. C’è stata una festa di carnevale in un centro anziani a cui avevano partecipato delle persone di Bergamo, hanno contaminato tutta la parte anziana della città. Ma Latina ha un solo contagiato, quindi poca incidenza.

Il tuo progetto ‘Covid-19 Storie dalla zona rossa’ è forse il primo Instant book ispirato al Coronavirus? Chiedo a te la conferma
È il primo, ho cominciato subito, appena c’è stato il primo decreto, i primi di marzo. All’inizio quando c’è stata la comunicazione della pandemia, per me dal punto di vista della professione che faccio è stato interessante, per la prima volta ho vissuto la distopia dall’interno. L’hai sempre letta sui libri e poi ti ci trovi in mezzo. Per noi che non abbiamo fatto la guerra un’esperienza abbastanza inusuale, quindi mi è scattato subito l’interesse per tutti gli aspetti più umani. Io sono una persona molto socievole, esco in continuazione, mi muovo, l’isolamento era potenzialmente pericoloso per la mia salute psicologica. Non avevo nient’altro a cui dedicarmi così ho deciso di scrivere un racconto al giorno, in modo da distrarmi.

Come si organizzano i tuoi racconti?

È una serie che è divisa in settimane che io ho pubblicato man mano. Una per ogni settimana. Sono quattro settimane in tutto, a breve uscirà la raccolta in un libro unico più un inedito e un racconto di un’altra persona. Ho fatto una specie di concorso sulla pagina Facebook, il migliore racconto che mi arriva lo inserirò nel libro. I racconti sono stati pubblicati su Amazon e sono gratuiti per la lettura se sei un abbonato Kindle unlimited, per gli altri sono a pagamento. Per noi che lavoriamo nell’editoria c’è stato un mese di panico, la chiusura delle librerie ha portato a una bella tirata di freno a mano sulla produzione. Il mio libro doveva uscire i primi di aprile, è stato rimandato a maggio, quindi è stato anche un modo per muovermi in questa situazione auto-pubblicandomi. La cosa interessante è che c’è anche una versione in inglese dei racconti che ho realizzato con una traduttrice. Tramite la versione in inglese mi ha contattata un editore coreano e ha comprato i diritti di tutti i racconti per la pubblicazione in Corea. È stata un’avventura interessante.

Hai avuto anche una grande auto-disciplina per scrivere un racconto al giorno
Era soprattutto un modo per evadere, per viaggiare stando dentro casa.

Cosa ti ha colpito di più della reazione degli esseri umani all’isolamento?

I racconti si dividono in tre gruppi. Uno è quello distopico. In molti casi ho immaginato come sarà il futuro prossimo o più remoto dopo la pandemia, in modo a volte ironia, a volte drammatico, dipende dall’umore che avevo in quel momento. Una serie è legata a fatti di cronaca realmente accaduti, per esempio nella week-one il protagonista del racconto è un medico lituano, c’era quella notizia che la Lituania stava mandando medici in Italia, io ho immaginato questo medico inserito in una situazione molto ‘italiana’ che si trova ad affrontare senza avere gli strumenti culturali per farlo. Oppure mi aveva colpito che a Bergamo avevano dovuto affittare dei container frigo per conservare le salme prima della cremazione. Ho visto alla televisione questa porta con un cartello giallo su cui era scritto ‘attenzione assicurarsi sempre che non ci si qualcuno dentro prima di chiudere’ quindi ho scritto un racconto su una persona che resta chiusa dentro. Oppure un giorno stavo rileggendo Mrs Dalloway di Virginia Wolf per l’ennesima volta e mi sono detta chissà come sarebbe stata la scena in cui Mrs Dalloway e Peter Walsh si incontrano dopo 20 anni se ci fosse stata la pandemia in quel momento, il racconto si chiama ‘Beni di prima necessità’. Clarissa Dalloway esce per andare a comprare i fiori, ma nel mio racconto non può perchè i fiori non sono beni di prima necessità, parte tutto da qui. Insomma ho spaziato parecchio.

In questi giorni guardo tanti film, come capiterà a molti di noi, e mi capita di notare comportamenti, piccoli gesti che penso non si potranno più fare. Per esempio ragazzi che si passano una sigaretta, oppure l’altro giorno stavo guardando un film in cui una cameriera alla fine di una festa beveva i resti di champagne dai bicchieri. Secondo te quali sono le cose che cambieranno?

Usando l’immaginazione alcuni comportamenti entreranno pian piano nel nostro DNA, la gente ha metabolizzato la paura e la diffidenza. Adesso quando esci visualizzi il virus, anche se non lo vedi. Non guarderai mai più la barra di un carrello al supermercato dove metti le mani nello stesso modo di prima. È come se avessi acceso un riflettore sul alcuni aspetti della nostra vita che prima passavano inosservati. La mia paura è che la nostra società già tendeva all’autismo, ognuno chiuso nella sua bolla, nella sua quotidianità, nella sua famiglia. La nostra è una società chiusa nei nuclei familiari.

Questa tra l’altro è una delle possibili cause per cui il virus si è diffuso così tanto in Italia, siamo vittime del nostro amore per la famiglia
C’è anche qualcosa di ironico in questo, forse qualcosa da imparare. Poi può darci anche che ci sarà un’ondata di ribellione. All’inizio tutti abbiamo rispettato le norme, ora come ora sui social dove ‘spio’ le opinioni altrui siamo divisi in due gruppi. Ci sono quelli che sono assolutamente impancati dall’aspetto della morte, quindi qualunque sia il prezzo da pagare è preferibile alla morte. E poi c’è il gruppo dei fatalisti che dicono tenete chiuse le categorie a rischio dentro casa, chiudete le regioni ma lasciateci liberi, questa non è vita.

Ho notato tra i miei contatti un duplice atteggiamento nei confronti dell’isolamento. C’è chi sta malissimo e chi invece è super felice, contento di dedicare del tempo a se stesso e alla propria famiglia, di fronte a quest’ultimo atteggiamento ecco io resto abbastanza perplessa, non riesco a spiegarmelo
Credo che tu appartenga come me a quel gruppo di persone che la vita se la organizza serenamente, invece c’è chi è più schiavo dei ritmi quotidiani e si fa condizionare dal lavoro, per loro probabilmente è stata una liberazione.

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