L’emergenza legata al Coronavirus è arrivata nelle nostre vite e le ha stravolte, limitando le nostre libertà e caricando il quotidiano di ansie, paure e preoccupazioni. Questa emergenza riguarda ognuno di noi, ma si accanisce ancora di più con le persone impegnate in prima linea come sanitari, forze dell’ordine, operatori di protezione civile che si trovano ad affrontare le paure legate al contagio o alla perdita di persone care sia nel quotidiano che nel lavoro che svolgono senza però smettere di aiutare gli altri. Per capire meglio cosa stanno vivendo queste persone, soprattutto a livello psicologico ed emotivo, abbiamo parlato con la dottoressa Cristina Di Loreto psicologa e psicoterapeuta breve strategica, vice presidente e coordinatrice della rete nazionale degli psicologi di Cerchio Blu, associazione che da anni è impegnata nella sensibilizzazione sul benessere psicologico all’interno delle forze dell’ordine e negli operatori dell’emergenza e della sicurezza italiani.
Come stanno vivendo questa emergenza le persone, come forze dell’ordine, protezione civile, sanitari e volontari impegnati in prima linea a tutelare la nostra salute?
In maniera ambivalente, a mio avviso, da un lato sono gratificati dal poter essere di aiuto e dall’avere un ruolo centrale nella lotta a questo nemico invisibile, dall’altro però, come sempre succede al soccorritore che opera in emergenza, sono esposti ad una traumatizzazione vicaria amplificata dal fatto che come tutti gli altri cittadini son vittime della situazione, provano ansia anche loro come paura e angoscia. A questo si aggiunge il fatto che uscendo possono essere esposti e potrebbero portare il virus a casa propria e per i sanitari c’è sicuramente una grande frustrazione data dal non avere ancora una risposta concreta in termini di cura e dall’essere impegnati e far fronte ad una emergenza senza gli strumenti a cui solitamente sono abituati.
sfoglia la galleryCome possono alleviare o scaricare lo stress che accumulano? In questo momento è possibile separare la vita privata dall’impegno in prima linea?
Nella situazione che stiamo vivendo sarebbe opportuno offrire al soccorritore e al volontario degli strumenti professionali rispetto ad un supporto psicologico che in questo momento può non sembrare necessario ma che invece lo è. Mi riferisco a strumenti professionali qualificati e di supporto come il defusing psicologico o il debriefing psicologico che permettono ad un piccolo gruppo, come l’equipe sanitaria o la squadra che esce in pattuglia di poter decomprimere quelle forti emozioni che possono aver provato durante il loro turno di lavoro perché hanno avuto un rischio di contagio forte o perché hanno impattato con la morte di qualcuno o con la comunicazione del decesso. Chi è in prima linea è un uomo e una donna con le sue preoccupazioni. Immaginiamoci un medico di un reparto covid che rientra a casa dove dovrà ripetere le procedure di pulizia nonostante i dispositivi di protezione indossati, immaginate che faccia questa operazione davanti ai suoi figli e che preferisca evitare gli abbracci e tutto ciò che poi ne consegue. I sanitari sono più esposti ma possiamo traslare il concetto a chiunque si trovi a garantire la nostra sicurezza e salute, c’è chi nel tentativo di proteggere i suoi cari ha separato la sua vita privata da quella lavorativa spostandosi da casa cercando alloggio da colleghi o in hotel. Questa separazione fisica amplifica le preoccupazioni verso la propria famiglia che si aggiungono a quelle legate alla sfera professionale
A livello psicologico cosa può succedere a queste persone quando terminerà l’emergenza?
Le conseguenze non le vediamo adesso ma ci saranno, lo sappiamo dalle ricerche scientifiche che hanno evidenziato come saranno maggiori soprattutto nei sanitari impegnati nei focolai. Le conseguenze che ci dobbiamo aspettare sono relative ad una sintomatologia post traumatica, segni di depressione o un sovraccarico emotivo, troppe emozioni che queste persone devono gestire e contenere in questo momento. Il contraccolpo sarà alto, ecco perché gli strumenti di supporto psicologico ora sono necessari.
Come Cerchio Blu come cercate di aiutare queste persone? Si accorgono di aver bisogno di aiuto?
La nostra associazione è impegnata da anni nel veicolare la cultura del benessere psicologico nelle forze dell’ordine, nella sicurezza e nell’emergenza. Abbiamo quindi messo in campo tutti i nostri professionisti per offrire fino a 5 colloqui psicologici gratuiti a distanza e defusing psicologici su piccoli gruppi sempre online. L’operatore di polizia, il volontario di protezione civile o anche il sanitario può contattarci via email e richiedere il supporto psicologico. A questo punto andrò ad individuare uno dei nostri psicologi psicoterapeuti che porterà avanti questo percorso, cercando di selezionare una persona vicino a lui in modo tale che sia garantita la continuità terapeutica in presenza quando finirà questa emergenza. Come Cerchio Blu siamo anche impegnati con il nostro nucleo di protezione civile che al suo interno ha un gruppo di psicologi dell’emergenza ad offrire supporto psicologico agli operatori di protezione civile del Comune di Firenze e ai volontari impegnati nei servizi di protezione civile che rilevano un carico emotivo importante. Tra l’altro stiamo pensando a come poter estendere questo servizio anche alla cittadinanza.
Purtroppo gli operatori non si accorgono di avere bisogno, siamo nella fase in cui chi opera nell’emergenza è orientato verso l’operatività e quindi non è totalmente consapevole delle proprie reazioni, delle proprie sensazioni ed emozioni. Il problema è che se questa consapevolezza non viene maturata ora, avrà un effetto nel prossimo futuro. Se non giochiamo d’anticipo l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo diventerà una emergenza psicologica.
Questa situazione di stress coinvolge anche voi psicologi che vi trovate impegnati su più fronti da quello familiare a quello lavorativo a questo più emergenziale, come affrontate il tutto?
Noi psicologi rispecchiamo quanto detto finora. Sul piano emotivo accogliere il dolore, le paure e le angosce fa parte del nostro mestiere. Certo farlo in maniera massiccia attraverso modalità diverse dal solito è una sfida per noi. Chi opera nell’emergenza sta lavorando a ritmi disumani non riuscendo a conciliare il lavoro e la vita privata e in molte situazioni senza remunerazione e senza quel contatto umano che chi ha scelto il mio lavoro cura, veicola e usa come strumento ma, vive anche come grande soddisfazione. Questa è una emergenza sanitaria e finanziaria ma anche relazionale. Come affrontiamo il tutto? Con il sostegno psicologico, il confronto con i colleghi, supervisioni, formazioni continue e, personalmente, cercando di non dimenticare chi sono: sono una psicologa, sono anche Cristina, una donna, una mamma, una moglie con le mie incertezze, i miei bisogni e i miei difetti.