Fino a poco tempo fa la produzione di vini privi di solfiti sembrava un miraggio. In Italia anche le etichette biologiche – pur rimanendo entro certi parametri – ne fanno uso. A questo riguardo alcuni giorni fa abbiamo dato la notizia di una nuova metodologia che ha finalmente consentito all’Università di Pisa di produrre per la prima volta vini che ne sono totalmente privi. Quelli prodotti dall’Ateneo pisano in collaborazione con l’azienda Casteani, e attualmente in commercio, sono due grandi classici della vinificazione nazionale: Vermentino e Sangiovese. “Ma – ci assicura il pisano Fabio Mencarelli, inventore del brevetto Purovino – grazie a questo sistema può essere prodotto qualsiasi tipo di vino”.
Partiamo dall’inizio, perché nei vini ci sono così tanti solfiti?
“L’impiego dei solfiti per la vinificazione si deve ai numerosi effetti positivi che questi garantiscono (aiutano la bevanda in funzione antimicrobica, antiossidante, ne stabilizzano il colore, e via dicendo), il loro impiego insomma facilita molto l’attività degli enologi. Basti pensare che perfino nella vitivinicoltura bio il loro uso è consentito, sia pure con alcune limitazioni”.
Ma nei vini biologici prodotti negli Stati Uniti i solfiti non sono ammessi…
"È vero, negli organic wine degli USA non ci sono solfiti. Il fatto è che a discapito delle loro importanti funzioni questi composti sono tossici per l’essere umano, e ciò è noto ormai da anni. Tant’è che esistono anche da noi limiti di legge che regolano il livello dei solfiti presenti nel vino e, anche qui – sebbene con anni di ritardo rispetto agli Stati Uniti – è stata introdotta sulle etichette la dicitura “contiene solfiti”.
Il consumatore dunque in Italia viene avvertito ma i solfiti restano. Quali sono i principali rischi che comportano?
“L’avvertimento in etichetta è una forma di allerta per il consumatore, che può sapere di essere particolarmente sensibile al composto. Ma l’anidride solforosa – oltre alla possibilità di una risposta immediata, come uno shock anafilattico – può causare un accumulo di tossicità cronica, frutto di assunzioni minime giornaliere, che però possono finire per causare alterazioni all’apparato cardiovascolare. In ogni caso è bene ricordare che purtroppo c’è un forte abuso di solfiti come additivi nei conservanti, e forse a riguardo sarebbe il caso di intervenire con una normativa più stringente..."
Tornando al vino, che si può fare per cercare di ridurne l’impiego?
“L’esigenza di trovare una valida alternativa nella tecnologia di vinificazione è particolarmente sentita da alcuni anni, anche se non è semplice sostituire i solfiti. Ma visto che sono impiegati principalmente come conservanti, l’alternativa è l’impiego di additivi di “sanificazione”.
Purovino va in questa direzione?
“Sì, il brevetto internazionale Purovino prevede il trattamento sanificante post-raccolta delle uve da vino mediante l’iperossigenazione e il lavaggio degli impianti di vinificazione, sempre con lo stesso gas. Il procedimento non interviene sul processo di vinificazione. Impiegando la refrigerazione delle uve e l’iperossigenazione all’interno di una cella frigorifera, le uve vengono sanificate e inoltre, grazie alla risposta delle cellule degli acini a tale fattore di stress, si ottiene un maggior coefficiente di sintesi e anche più varietà di polifenoli e profumi. Al di là dell’effetto sanificante le note aromatiche ricevono un notevole vantaggio dal trattamento, che permette di ottenere vini fortemente fruttati grazie alla sintesi di composti rilevati anche analiticamente (non solo all’assaggio). Un altro vantaggio di tale tecnologia è che l’acqua impiegata può esser raccolta per nuovi impieghi, riducendo così il consumo idrico in cantina di circa il 70%”.
Quando avete cominciato a utilizzare questa tecnica e a che vini l’avete applicata?
“Il primo trattamento è stato condotto nel 2009 a Magliano (Grosseto). Oggi in Toscana l’Azienda Casteani di Ribolla (Grosseto) sta producendo un Sangiovese e un Vermentino usando questa tecnologia, inoltre lo stesso trattamento, leggermente modificato, viene impiegato dal progetto Wine Research Team in diverse aziende italiane che producono vini senza solfiti aggiunti. Inoltre il nostro è il primo brevetto italiano di questo genere a essere “sbarcato” in Napa Valley (in California), dove già sette aziende hanno iniziato la sperimentazione e la produzione. Nei prossimi anni la tecnologia arriverà anche sui mercati australiano, cileno e sudafricano”.