In Pieve Santo Stefano, piccolo paese della Valtiberina, è nato, grazie al lavoro del giornalista Saverio Tutino, un luogo dotato di fascino e viva magia. L’Archivio nazionale dei diari, il Premio a questo da sempre legato e, da tre anni, il piccolo ma affascinante Museo del diario accolto in quattro sale del Palazzo Comunale, hanno cambiato l’identità del paese, facendone un centro nazionale per la conservazione della memoria, e riuscendo – nei giorni del premio – a far raccogliere tutta la popolazione di Pieve Santo Stefano attorno al tema del ricordo e della memoria. Del resto è lecito pensare che questo piccolo borgo avesse una vocazione speciale per la cura del ricordo, essendo stato prima messo a dura prova da un’alluvione che nel 1855 ne ha spazzato via la maggior parte delle notevoli testimonianze artistiche presenti dal Rinascimento e poi dalla rovinosa ritirata dei nazisti, che minarono tutto il paese lasciando in piedi poco altro oltre alle chiese e al Palazzo Comunale. Non stupisce dunque che Saverio Tutino decise di fondare proprio qui l’Archivio diaristico nazionale, assecondando quello che si potrebbe definire il genio del luogo, tanto è vero che visitando Pieve Santo Stefano nel giorno del Premio Pieve, ci si rende conto di come qui il ricordo sia faccenda viva e vivace, tutto il contrario del polveroso cimitero d’elefanti che qualcuno immagina associato al concetto della memoria e magari anche agli stessi diari.
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Nella domenica di premiazione, evento – si capisce subito – centrale nella vita di questa piccola comunità, tutta raccolta attorno alle piazze interamente allestite per il dipanarsi delle storie in concorso e per quelle che vale la pena raccontare, si sente come l’inseguirsi dei racconti contribuisca a costruire una mappa a più livelli: certo, c’è la dimensione che potremmo chiamare del pettegolezzo, quella che arriva immediatamente e risveglia il naturale interesse per le vicende dei nostri simili, ma ascoltando le storie ci si rende conto che mentre chi ha deciso di scriverle (o di inviare all’Archivio il diario o le lettere di qualche familiare) sta facendo i conti con se stesso, a un livello superiore vediamo definirsi le coordinate storiche che parlano attraverso i diari, così in una giornata come questa capita di incontrare diaristi che raccontano della guerra – come la novantaquattrenne Giuseppina Porri e il rubizzo Pietro Poponcini – e di come il fascismo gli abbia strappato i loro padri e al tempo stesso di imbattersi nella vicenda – diametralmente opposta ma al tempo stesso significativa – di Giuseppe Marcheselli, combattente per la Repubblica Sociale e fatto prigioniero dai partigiani. Oppure, a un livello di ricostruzione storica ancora più alto, capita di incontrare Giovanni Cocco, rude ma gioviale romagnolo che con la decisione di spedire le lettere scritte da suo fratello Antonio ormai cinquant’anni fa, contribuisce in modo decisivo alla ricostruzione di ciò che è stata la guerra in Vietnam vissuta dal lato francese, e in particolare dalla temibile legione straniera.
Il lavoro di mappatura storica, esistenziale, psicologica e a tratti dal notevole valore letterario che va avanti ormai da più di trent’anni a Pieve Santo Stefano, è tra le esperienze legate alla conservazione del ricordo più vive e vivide di quelle a cui è possibile accedere direttamente, e c’è da augurarsi che l’Archivio nazionale sapientemente diretto da Natalia Cangi e che oggi conta più di 8000 testimonianze, continui a crescere con la sua imprevedibile e ramificatissima rete di capillari in cui, è proprio il caso di dirlo, scorre il sangue della storia italiana.